Cromo 6 nella falda dell’area Caffaro. Scoperti due nuovi focolai: è allarme

Il più vasto è riconducibile all’insediamento “Baratti-Inselvini”

Analisi di laboratorio

Analisi di laboratorio

Brescia, 5 luglio 2017 - Quasi come 10 anni fa, quando scattò a Brescia l’allarme cromo VI. Alla Baratti Inselvini, galvanica che si trova nel Sin Caffaro, l’Arpa ha rilevato concentrazioni di 185.000 µg/l di cromo VI in falda, a fronte di un limite di 5. Valori altissimi, nonostante la falda si sia abbassata di 5 metri dal 2014 (atto che dovrebbe ridurre le concentrazioni di inquinanti nelle acque sotterranee) e nonostante l’opera di messa in sicurezza e bonifica messa in atto dall’azienda, che ha già una condanna alle spalle. I livelli di cromo VI sono addirittura aumentati in pochi mesi a valle della vasca di cromatura ancora attiva, dove a gennaio 2015 si rilevavano 6200 µg/l, 36.000 a gennaio 2016. Di fronte a questi valori, comunicati all’autorità giudiziaria, quelli relativi a Pcb e mercurio quasi passano inosservati: 1999 µg/l di Pcb sotto lo stabilimento Caffaro, 10 quelli di mercurio. Come spiegato da Massimiliano Confalonieri di Arpa, nell’incontro promosso dall’Osservatorio Acqua bene comune per presentare i risultati del monitoraggio sulla falda nel Sin Caffaro, "la nostra idea è che ci possa essere una sorgente ancora attiva: sicuramente la vasca di cromatura attuale è un problema".

Altra criticità è la barriera idraulica che risulta inefficiente e che spesso è spenta, tanto da portare il cromo VI anche dove prima era quasi assente. "Noi continuiamo a far relazioni – prosegue Confalonieri – ma sembra di capire che non ci sono soluzioni". Non c’è solo la Baratti Inselvini a preoccupare. Anche nella falda sotto il sito della Caffaro è stato rilevato un picco di cromo VI (600 µg/l), quasi il triplo rispetto al 2015, causato forse da una nuova sorgente. Arpa non si sbilancia, ma certo è che nel ciclo produttivo di Caffaro Brescia il cromo viete utilizzato. Meno critica la situazione alla galvanica Forzanini, dove è stato avviato un fito-risanamento, che inizia a dare dei risultati, seppur ci sia ancora molto da fare. Se è vero che il cromo VI non arriva nell’acqua al rubinetto, come dimostrano i dati illustrati dall’Ats, è altrettanto vero che la falda risulta ammorbata da nuovi veleni.

"Siamo di fronte ad un problema enorme – commenta il commissario straordinario per il Sin Roberto Moreni – l’onere ad agire è di chi ha inquinato. Noi abbiamo 1,2 milioni spendibili come intervento sostitutivo. Mentre per Forzanini tutto lascia pensare che non ci sia bisogno, per Baratti nel giro di sei mesi dobbiamo fare una sintesi con Regione e Comune per capire cosa fare. Non sarà facile ed i tempi non saranno brevi". Carmine Trecroci, presidente di Legambiente e membro dell’Osservatorio Acqua bene comune auspica l’intervento della magistratura: "E’ palese la violazione dei limiti di legge. Probabilmente l’eccesso di lavoro, anche su temi ambientali, ha impedito un intervento tempestivo su questo caso". "Condivido la sollecitazione di Legambiente – conclude l’assessore all’ambiente Gianluigi Fondra – se la magistratura interverrà saremo al suo fianco, ma il tema delle competenze è complesso. Prima di agire in via sostitutiva, occorre lavorare perché intervenga chi ha inquinato".