Bozzoli, in aula a Brescia è tutto un "non ricordo"

Testi che ritrattano le versioni rese in precedenza indispettiscono sia l’accusa sia il presidente di Corte

Giacomo Bozzoli, nipote di Mario scomparso l’8 ottobre del 2015

Giacomo Bozzoli, nipote di Mario scomparso l’8 ottobre del 2015

Brescia  - «Non ricordo». "Quella cosa non l’ho mai detta". Udienza ‘difficile’ ieri in Assise al processo per il giallo della fonderia di Marcheno, da cui la sera dell’8 ottobre 2015 sparì Mario Bozzoli. Unico imputato di omicidio premeditato e occultamento di cadavere è il nipote Giacomo, che si è sempre professato innocente. Sotto la lente della Corte, le testimonianze degli autotrasportatori e degli operai che quella sera si avvicendarono al momento della scomparsa di uno dei titolari. Per l’intera giornata si sono susseguite le contestazioni del pg Marco Martani e dell’aggiunto Silvio Bonfigli, e più volte il presidente Roberto Spanò ha minacciato di deferire i testi per falsa testimonianza, accomunati da ritrattazioni, reticenze, amnesie.

A sentir loro, nessuno vide nulla di strano, anche se cinque anni fa riferirono diversamente. Cassee Mandau, dipendente senegalese che avrebbe dovuto smontare il turno alle 18, incrociò Mario che gli chiese di lavorare un’ora in più: "Voleva rimanessi a impilare i pani di ottone perché doveva uscire con la moglie a cena, io gli chiesi però prima di avvertire Giacomo, che non voleva facessi straordinari". Gli straordinari, pagati in nero ai dipendenti anche con bigliettoni da 500 euro, pare fossero una delle molte questioni spinose su cui c’era scontro aperto tra le famiglie Bozzoli. A Cassee, Mario confidò che nel dicembre 2015 avrebbe lasciato la fonderia per dedicarsi solo alla clinica odontoiatrica del figlio aperta a Mazzano, e gli chiese di seguirlo.

All’epoca l’operaio raccontò ai carabinieri che la situazione in fabbrica era molto tesa: "La famiglia di Adelio è composta da cattivi e arroganti, tutto quello che faceva Mario a loro non andava, lo contrastavano in ogni modo. Lui era buono e generoso". Parole ieri ritrattate. E ancora: "Quando se ne andava Mario mi chiamava per controllare le uscite dei pani. Era convinto lo stessero fregando e li vendessero sottobanco". Anche sulla conversazione intercettata tra Cassee e il collega romeno Bogdan all’indomani della sparizione, il primo ha glissato, ammettendo solo che "se le telecamere fossero rimaste dov’erano, Mario si sarebbe visto". I due al telefono sostenevano che Giacomo spostasse spesso le telecamere per controllarli. E indirettamente gli attribuirono un coinvolgimento nel giallo: " Mario l’hanno fatto passare da lì. Capito? - disse Cassee - Sai che in quella zona non c’è una telecamera. E dove c’è quella camera dove si trova il ferro, l’hanno girata... Ecco, basta, così poi possono prenderlo dietro ai camion". E Bogdan: "Sì appunto, c’è qua una mano di Giacomo".

Ritrattazioni anche sul tema di una presunta ricerca qualche mese prima della scomparsa di Mario di una pistola con matricola abrasa da parte dell’imputato. Alessandro Selis, titolare di una palestra in Valtrompia, riferì di avere ricevuto una confidenza di un cliente, Andrea Piardi, pare contattato da Giacomo perché intercedesse presso il padre Corrado, un pregiudicato, per recuperare l’arma. Stessa voce fu raccolta da due artigiani di Marcheno e dal nipote di Piardi. In aula Andrea e Corrado Piardi hanno smentito. Il primo - già indagato per falsa testimonianza - di aver fatto quelle confidenze. Il secondo: "Giacomo? Non lo conosco nemmeno".