Bozzoli, anatomia di un mistero: tutte le tesi sulla sua scomparsa

Venti mesi di udienze, dopo l’estate i giudici decideranno sulla colpevolezza del nipote Giacomo Ma sull’ipotesi dell’omicidio si scontrano versioni opposte: accuse, perizie, testi. E un cadavere che non c’è

Giacomo Bozzoli, unico imputato

Giacomo Bozzoli, unico imputato

Brescia - Venti mesi di udienze. Sopralluoghi. Un esperimento giudiziale. Oltre cento testi sfilati in aula. Consulenti e periti che giungono a conclusioni opposte sulla fattibilità dell’eliminazione di un cadavere in un forno fusorio. La pubblica accusa che in aula modifica, integrandola, l’imputazione perché a dispetto di quanto si riteneva in fase d’indagine ora si scopre che sì, ineffetti Mario Bozzoli può essere stato gettato nel crogiolo grande della sua fonderia, e non solo portato all’esterno della fabbrica nel bagagliaio della Porsche del nipote Giacomo e poi nascosto chissà dove. Il processo per l’omicidio dell’imprenditore che l’8 ottobre 2015 sparì dalla fonderia di famiglia a Marcheno - unico imputato è appunto il nipote 37enne - è agli sgoccioli. L’8 settembre la Corte d’Assise dichiarerà chiusa l’istruttoria. Il 28 e 29 settembre ci saranno le discussioni di procura, con il pg Marco Martani e l’aggiunto Silvio Bonfigli, parti civili, con gli avvocati Vieri e Vanni Barzellotti, e le difese, Luigi, Giovanni e Giordana Frattini. E poi i giudici - presidente, Roberto Spanò - si ritireranno in camera di consiglio per decidere.

Giacomo ha eliminato lo zio verso cui covava un odio ossessivo dopo essere entrato in rotta di collisione per uno stile gestionale dell’azienda opposto - vecchio stampo quello di Mario, più disinvolto quello di Giacomo, ritiene chi indaga -, oppure è innocente, come ha ribadito lui stesso in aula suggerendo piuttosto di indagare su presunte tensioni tra lo zio e alcuni operai? Già, perché al mistero di Mario è legata a doppio filo anche la morte di Beppe Ghirardini, uno dei due addetti ai forni di turno quella sera e trovato avvelenato dal cianuro tra i monti di Case di Viso dieci giorni dopo la scomparsa del titolare. La Procura aveva messo sotto inchiesta per induzione al suicidio Giacomo e il fratello Alex. Per due volte però, pur ritenendo che l’operaio quantomeno sapesse qualcosa riguardo la fine dell’imprenditore, ha chiesto di archiviare il fascicolo. Per due volte la famiglia di Ghirardini si è opposta non credendo affatto al suicidio. Ma il gip ha deciso, giovedì, per l’archiviazione.

Al centro del processo in Assise del resto c’è sempre stato, anche indirettamente, il forno. Di Mario non c’è più traccia dalle 19.12 dell’8 ottobre di 7 anni fa quando, finito il turno, chiama la moglie per dirle che sta per rincasare. Viene visto dirigersi dai capannoni agli spogliatoi, dove non arriva. Tutto si gioca in una manciata di minuti. Nei mesi successivi gli inquirenti pensano subito a un’eliminazione nel forno grande, tanto più che intorno alle 19.20 si registra una fumata bianca e un blocco del sistema. Per l’imputato, il blocco e il fumo sono stati provocati da rottame bagnato. Un fatto frequente. Ma a far cambiare direzione alla Procura è la consulente Cristina Cattaneo, che decreta l’infattibilità di una distruzione di Bozzoli nel forno. Dei resti si sarebbero dovuti trovare almeno nei filtri, cosa che non è avvenuta, è la sua tesi. Senza tener conto che l’impatto del corpo con il metallo a 900 gradi avrebbe con ogni probabilità generato un’esplosione. Di qui la formulazione dell’ipotesi accusatoria del trasporto del cadavere all’esterno della fonderia sulla Porsche del nipote. Sulla quale, però, non ci sono tracce.

A riportare in auge l’ipotesi forno, l’ultima udienza, è stata la relazione del perito Camilla Tettamanti in merito alla prova della carcassa del maialino buttata il 27 aprile nel forno della fonderia Gonzini di Provaglio d’Iseo. Il test ha dimostrato che l’esplosione non è inevitabile, è la conclusione. Per il perito l’eliminazione del corpo arebbe stata completata in un paio d’ore e mezza. E a causa delle elevate temperature sarebbe stato difficile trovare residui, anche di Dna. I consulenti della difesa al contrario ritengono l’impresa impossibile. Dal canto suo Giacomo in aula ha ricostruito minuziosamente i suoi spostamenti in quei minuti cruciali. Mentre lo zio si volatilizzava, lui girava tra la pesa, gli uffici, la ruspa. E al forno non c’è andato. Ad attestarlo vi sarebbero anche i 341 passi registrati dal suo Iphone. Ma stando all’ex comandante del Ros, Amleto Comincini, consulente dell’accusa, il nipote mente: i passi corrispondono al tragitto per arrivare al forno.