Dieci anni di carcere. È la sentenza in primo grado emessa il primo luglio 2013 al termine del processo in abbreviato a carico di Elena Perotti, la 23enne di Berlingo che con l’aiuto di un amico, Dario Bertelli, 44 anni, buttafuori, sfregiò William Pezzullo. I due sono stati condannati per lesioni gravissime premeditate. Incinta al nono mese e ben decisa a dare una lezione permanente al giovane che non ne voleva più sapere di lei e non intendeva riconoscere il bambino di cui era in attesa, la donna organizzò il piano. Secondo l’accusa coinvolse Bertelli, e fece ricerche sul web sulla sostanza più corrosiva da utilizzare. Fu lei ad acquistare l’acido solforico al supermercato, e fu lei a gettarlo in testa all’ex, malmenato e bloccato dal buttafuori. A pochi giorni dalla sentenza, Bertelli ha inviato dal carcere una lettera piena di insulti a Pezzullo, apostrofato come “coniglio”.

 

Travagliato, 20 settembre 2013 - «Non è vero che i giorni di pioggia sono i più brutti. Ti permettono di salire a testa alta anche se stai piangendo». Willy allunga il braccio destro e mostra la scritta in inglese: «È una frase che mi sono inventato io» sorride orgoglioso offrendo alla vista un reticolo di cicatrici rossastre intervallate da stampi di baci, uno spartito musicale e l’eroe dei videogames Supermario, tatuati di fresco. Ci pensa su e scherza: «In effetti potrei tatuarmi dappertutto, così magari tutti questi segni si vedrebbero meno». Lui è William Pezzullo, 27 anni. La sua storia ha fatto il giro d’Italia. La notte tra il 19 e il 20 settembre 2012 la ex, all’epoca incinta al nono mese, con la complicità di un amico ha messo a segno una vendetta feroce: una secchiata di acido solforico gettato addosso all’uomo che non la voleva più, e che non credeva di essere il padre del bambino che lei portava in grembo. Per mesi William, ragazzone atletico pronto alla battuta, è stato a un passo dalla morte.

Oggi a distanza di 12 mesi è quasi cieco – ha perso l’occhio destro e vede due decimi dal sinistro – senza orecchie e il corpo, viso compreso, è martoriato da frustate scure. Le cicatrici di quell’acido “in grado di corrodere le ossa ai maiali”, racconta la mamma Fiorella con voce incrinata. Ogni giorno Willy si infila delle guaine per appiattirle. Il liquido gli ha mangiato la pelle e parte dei muscoli.
La routine della famiglia Pezzullo è scandita da esercizi riabilitativi, innesti, docce e bagni speciali. Una crociata combattuta continuando a cercare il nome di qualche luminare della medicina non ancora provato: «William è stato due mesi e mezzo in terapia intensiva a Genova e poi ha subìto 11 interventi – racconta la madre del barista, che ha speso in cure già oltre ventimila euro e per pagarsele ha venduto il locale. L’ultimo innesto per recuperare la mobilità del collo fatto a Monza in giugno lo ha lasciato peggio di prima. Esteticamente è un disastro: guardi com’è gonfio».

La cucina è tappezzata di biglietti con gli indirizzi degli specialisti («A Londra un medico guarisce le pakistane sfregiate, chissà che non faccia il miracolo anche con me») in salotto c’è un televisore gigantesco («Qualche ombra almeno la vedo») e una cyclette. «La cyclette è l’unica cosa che posso fare, ma che cavolo di sport è? Mi innervosisce. Io sono per la boxe e i pesi – taglia corto Willy - Ma ricominciare la palestra è rischioso, potrei strapparmi i muscoli già lesionati».

Anche il pc dopo un po’ lo esaspera («Non vedo la freccia per cliccare»). Nel suo mondo risicato è rimasto spazio per dormire, chiacchierare con gli amici e qualche volta andare da loro, e sognare. Una famiglia, per esempio che prima o poi arriverà, tra una avance e l’altra delle donne che lo agganciano su Facebook. O per pianificare il viaggio a Napoli da Tonia, che dopo averlo visto in TV da Barbara d’Urso ha chiesto di lui e ora è la sua nuova fidanzata. E Elena? «Non ce l’ho con lei – dice William distaccato -. Siamo stati insieme sei mesi. È finita perché raccontava bugie e il suo era un amore malato. Era così gelosa che mi tagliava le gomme dell’auto, una volta mi ha persino chiuso in casa e sono dovuto scappare dalla finestra. Quel figlio non era mio».

beatrice.raspa@ilgiorno.net