Brescia, 6 marzo 2012 - Mario Albanese prima di compiere la strage con le sue chiavi è entrato a casa in via Raffaello, in quella casa di cui ancora stava pagando il mutuo ma rimasta alla ex moglie, Francesca Alleruzzo, le loro tre bimbe di 10, 7 e 5 anni e i tre cani. Sabato, circa le 22. In tasca, la pistola. Le piccole sono da sole con Chiara Matalone, la figlia ventenne di Francesca e con il fidanzatino coetaneo Domenico Tortorici.

La consorte non c’è. «E’ uscita con un suo amico», si sente dire dalla figliastra il camionista. Proprio quello che il 34enne non voleva, non poteva accettare. In casa scoppia la lite e lui scende di nuovo in strada. Aspetta fino alle 3,30 quando vede rincasare la donna con cui aveva convissuto per 8 anni insieme a un altro uomo. E’ su una Mercedes. Al volante c’è Vito Macadino, 56 anni. La coppia scende, ed è la strage.

Albanese fa fuoco, colpisce in testa entrambi. Poi torna in casa. Fa le scale fino al terzo piano dove ci sono le camere da letto. E’ fuori di sé. I cani abbaiano, tutti si svegliano. Va diretto nella camera dove dormono Chiara, il fidanzato e Silvia, la figlia più grande, e spiana l’arma contro la coppia.

«Papà ma che fai?», urla attonita la piccola, mentre dalla porta aperta si affaccia la sorellina di 7 anni. Le due si sentono rispondere dal genitore: «Papà non sta bene, scusatemi». L’uomo preme il grilletto contro Chiara e il coetaneo, poi scende le scale di corsa e si imbatte nel carabiniere vicino di casa Ivano Gatti. Infierisce di nuovo sui cadaveri della ex e dell’amico riversi sul selciato e poi si punta la pistola alla tempia.

Ma il militare lo disarma, lo salva e lo consegna alle due Volanti. Infine il carabiniere torna a prendere le tre bimbe tremanti ferme all’ingresso e le porta a casa sua. «Invece di tornare in strada dovevo spararmi dentro casa, ecco che cosa ho sbagliato — si lascia scappare Albanese — Quella donna mi tradiva e non voleva nemmeno farmi vedere i figli». Per il pm Antonio Chiappani, che coordina le indagini con questura e carabinieri aveva premeditato il delitto. A riprova, l’auto parcheggiata lontano da casa, a differenza di quanto accadeva sempre.

La scacciacani modificata in una calibro 7,65, un’arma clandestina (ora al vaglio dei carabinieri del Ris di Parma) che aveva portato con sé. Una mannaia ritrovata proprio sotto la macchina di Francesca, quella sera parcheggiata fuori dal garage (sulla lama sono stati disposti accertamenti per il rintraccio di impronte digitali). Di qui la contestazione del quadruplice omicidio premeditato, oltre che il porto abusivo di armi. Ieri, in sede di interrogatorio di garanzia, al gip Mario Cucchetto non ha fornito alcun perché della follia, avvalendosi della facoltà di non rispondere. Solo poche dichiarazioni spontanee: «Chiedo scusa a tutti, ho la testa che mi scoppia. E le mie figlie?».

Per il legale Alberto Scapaticci il suo assistito in cella è sotto stretta sorveglianza perché «è sconvolto, potrebbe compiere gesti estremi. Sta iniziando a rendersi conto di tutto. Ed è molto preoccupato per le piccole». Contro di lui però ci sono anche le dichiarazioni delle bambine, al momento affidate a uno zio materno e ai cugini. Silvia, Micaela e Arianna hanno impressa negli occhi la furia del padre.

di Beatrice Raspa

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