"L’ergastolo? Verdetto ineccepibile". E Bossetti urla in aula: idiozie / FOTO e VIDEO

Al via l’Appello per l'omicidio Yara, il muratore si alza e protesta contro il pg

Massimo Bossetti (Olycom)

Massimo Bossetti (Olycom)

Brescia, 1 luglio 2017 - «Se vengono qui a dire queste idiozie». Massimo Bossetti si alza di scatto. Abbronzatura d’ordinanza, camicia bianca di lino, senza colletto, jeans, scarpe da ginnastica, capello tagliato di fresco, l’uomo condannato all’ergastolo in primo grado per l’omicidio di Yara Gambirasio, insorge alle parole dell’accusa, sostenuta dal avvocato generale presso la Corte d’Appello di Brescia, Marco Martani. Impassibile nei momenti precedenti, impassibile poco dopo, quando il rappresentane del’accusa chiederà la conferma dell’ergastolo il muratore di Mapello non regge, invece, e insorge quando sente parlare della compatibilità fra le fibre dei sedili del suo furgone e quelle trovate sul corpo e gli indumenti della piccola vittima. Il presidente della Corte d’Assise d’appello di Brescia, Enrico Fischetti, è pronto a riprenderlo con severità: «Bossetti, si metta a sedere. Poi farà dichiarazioni spontanee, se vorrà. È l’ultima volta».  Carcere a vita per la morte di Yara Gambirasio, ginnasta tredicenne di Brembate di Sopra, plurigaggarvato per la crudeltà e le sevizie e per la «minorata difesa» della piccola vittima. No alle attenuanti generiche. In primo grado a Bergamo, l’artigiano era stato assolto per la calunnia nei confronti del compagno di lavoro Massimo Maggioni, che aveva tentato di coinvolgere. Il procuratore bresciano chiede la condanna anche per questo reato e quindi l’aggiunta di sei mesi di isolamento diurno. Il tono di Martani, nelle sei ore della requisitoria, è pacato, le parole sono grevi. «Per la responsabilità di Bossetti – è l’esordio – la sentenza di primo grado è logica, coerente, completa e dà completamente conto delle acquisizioni processuali». Il procuratore generale analizza punto per punto. Primo, il Dna. Il codice genetico di Ignoto 1 perfettamente sovrapponibile a quello di Bossetti, che compare in sedici punti degli slip, tagliati, della ragazzina, e in due dei leggins. «I test, ripetuti 71 volte, hanno dato sempre lo stesso esito», scandisce Martani. «Il reperto complessivamente è consumato. Non pare possibile estrarre altro materiale», dice Martani, quasi anticipando quella che sarà la richiesta cardine della difesa: la ripetizione del test genetico. Definisce «al limite del grottesco» la ricostruzione della difesa che ha evocato un mail scritta da David Vincenzetti, titolare della società informatica Hacking Team, in cui si faceva riferimento ai carabinieri del Ros che indagavano sul caso Yara e a un gruppo israeliano in grado di produrre Dna artificiali. «È una richiesta che sottende accuse gravissime ai nostri carabinieri. Non c’era nessuna intenzione di incastrare Bossetti». Non solo. Altro ancora accusa l’imputato. Mancanza di un alibi per il pomeriggio del 26 novembre 2010, quando Yara sparisce e muore. La presenza del suo autoarticolato Iveco Daily nella zona. Fibre e sferette metalliche su Yara. La povere di calce. Le ricerche hard fatte dall’uomo nel pc quando era solo in casa, per esempio la mattina del 29 maggio 2014, poco prima di essere fermato: «Bosseti era affascinato dalle ragazzine. Yara non era più una bambina, era una giovane donna». L’accusatore tenta una ricostruzione di quella fosca serata. «L’aspetto del muratore che guidava un camioncino era rassicurante. Anche se non si conoscevano, era possibile che lui e Yara si fossero incrociati. La ragazzina deve avere visto un uomo che assomigliava a quelli che frequentava il padre, geometra nei cantieri. Questo ha fatto cadere le sue difese. Una vota che Yara è salita a bordo del furgone può essere successo qualsiasi cosa. Come sono andati o fatti può dirlo solo Bossetti, ma a questo punto, temo, non lo dirà mai». Il 6 luglio parleranno i difensori Claudio Salvagni e Paolo Camporini. Nei motivi aggiunti hanno prodotto una fotografia satellitare del campo di Chignolo d’Isola, scatatatnel gennaio del 2011: il corpo di Yara non appare. In sintonia con la richiesta dell’accusa gli avvocati della famiglia Gambirasio, Enrico Pelillo e Andrea Pezzotta.