Simone Pianetti, da giustiziere a leggenda: uccise sette persone e sparì

Oggi cantano la sua storia. Realizzate magliette come gadget e un vino

Simone Pianetti

Simone Pianetti

Bergamo, 4 febbraio 2019 - Una produzione vinicola. Magliette con il suo nome. Ancora adesivi dopo quelli spuntati un paio di anni fa per invocarne uno in ogni paese. Canzoni, teatro. Pare destinata a non arrestarsi mai l’onda lunga di una sorta di leggenda, di saga popolare che si è snodata nel corso di oltre un secolo partendo da un terribile fatto di cronaca. Una strage in Bergamasca. La mattina del 13 luglio 1914 Simone Pianetti esce di casa imbracciando un fucile. Fra Camerata Cornello e San Giovanni Bianco fredda sette persone, benpensanti, simboli dell’autorità civile e religiosa che considera responsabili a vario titolo di torti personali, del fallimento della sua osteria con sala da ballo e di un mulino elettrico.

Il primo a cadere è il medico condotto Domenico Morali, colpevole di non avere riconosciuto l’appendicite di uno dei figli. Muoiono Abramo Giudici, il segretario comunale che ha firmato l’ordinanza di chiusura della trattoria e con lui la figlia Valeria, una ragazza di 27 anni. La quarta vittima è il calzolaio e giudice conciliatore Giovanni Ghilardi, un avversario politico. Non hanno scampo il parroco don Camillo Filippi, che gli ha fatto la guerra per la balera, e il messo comunale Giovanni Giupponi. La settima vittima è Caterina Milesi, una contadina che ha un debito con Pianetti per un sacco di farina.

Compiuta la mattanza, Simone Pianetti sale in montagna. Non lo rivedranno mai più. Chissà se la storia è conosciuta da tutti quelli che nelle bancarelle delle sagre di paese acquistano una bottiglia di “Corlàss”, vedono sull’etichetta il volto baffuto di Simone, leggono la frase stampata: “Al Pianetti ne avevano fatte tante che non potè frenarsi”. È un idromele che trae il nome dal “corlàss” (l’altro nome è “podét”), un falcetto piccolo e pratico, con l’impugnatura ridotta. La produzione del vino avveniva in Val Brembana e per quello che se ne sa sarebbe andata avanti fino alla scorsa estate.Il merchandising pianettiano non si ferma qui. Un informatico e pittore di Bergamo (nome d’arte Sanpietrino) ha realizzato una cinquantina di T-shirt. Sul davanti l’immagine di Simone Pianetti e la scritta “Viva Simone Pianetti. Uno per paese” oppure “Cittadino onesto benemerito se avesse preso anche il notaio” (una delle vittime mancate - ndr). Non ne fa commercio e si limita a regalarle agli amici.

A Denis Pianetti, pronipote e biografo di Simone con il libro “Cronaca di una vendetta”, ha spiegato il suo essere fan: «Simone è una icona di vendetta e giustizia. Se fossi stato trasportato da una macchina del tempo indietro di cento anni sarei stato uno di quelli che avrebbero scritto per le vie della Val Brembana ‘Viva Pianetti Uno per paese!’. Facendo il pittore o dipingo o faccio t-shirt». Non sono invece usciti dal laboratorio dell’artista bergamasco gli adesivi affissi per la prima volta un paio di anni fa e ricomparsi in questi ultimi nel capoluogo e in altri centri della provincia come Clanezzo. La faccia corrucciata di Simone e il leitmotiv: “Simone Pianetti (1858 - ...) Uno in ogni paese!”.

I cantastorie con le loro ballate sono stati i primi a portare in pubblico la cruenta vicenda di Pianetti e l’enigma della sua sparizione. La canzone dei Folkstone “Simone Pianetti” è stata ripresa di recente dalla band folk-metal Barad Guldur che ha introdotto le cornamuse (“baghet” nel dialetto orobico). E non è finita, all’Auditorium Modernissimo di Nembro il gruppo “Visioni teatrali” ha messo in scena “Il Diavolo in valle. Simone Pianetti tra storia e racconto”. «Ogni epoca - conclude Denis Pianetti - ha la sua forma di propaganda, dalle scritte sui muri ai fogli volanti, dalle canzoni in piazza ai concerti rock e folk più recenti, fino alla inevitabile produzione di adesivi e magliette. Nessuno pensa certo di approvare l’enormità di quello che ha compiuto. Ma si può capire perché con il tempo la sua figura abbia finito per incarnare la sete di giustizia di un popolo che è stanco di vivere e subire un sistema corrotto e pieno di falsità, dove non ci sono punizioni per chi sbaglia. Una sorta di giustiziere sociale. E le ingiustizie appartengono sia al passato sia ai nostri tempi».