Sequestro Panattoni, 46 anni di misteri

Inchiesta riaperta. Mirko era un bimbo e ora fa il ristoratore: volevo dimenticare

Mirko Panattoni con i familiari dopo la liberazione

Mirko Panattoni con i familiari dopo la liberazione

Bergamo, 20 aprile 2019 - Al ristorante-pasticceria ‘La Marianna’, in Città Alta a Bergamo, scorre una storia iniziata nel 1953. Serve tortini di patate di Martinengo con porcini tartufati, foiade con porcini, rognoncino. Il gusto gelato a stracciatella, creato da papà Enrico mescolando scaglie di cioccolato e crema fior di latte, è un ‘unicum’ della ghiottoneria.

Mirko Panattoni è affabile. In mattinata ha ricevuto la consegna del silenzio, lo fa osservare con garbo. Distilla poche parole: «Ho passato questi 46 anni cercando di dimenticare». «Dimenticare» la sua storia di bambino di sette anni, vittima di un sequestro di persona. Oggi ha 53 anni. Si divide fra il ristorante di famiglia e l’impegno per la ristorazione, tre locali, all’interno dell’Ospedale Papa Giovani XXIII. I figli, Marianna, Maria Aurora e Pietro, hanno 28, 25, 13 anni. Dieci anni fa, ne erano trascorsi quaranta dal rapimento, un giornalista chiese a Mirko cosa ne sapessero i figli. «Credo – fu la risposta – che sappiano tutti e tre quello che mi è successo e forse Pietro non ha ancora compreso del tutto di cosa si parla». Prima di Mirko sono stati sequestrati altri due bambini: Paolo Ratti, 8 anni, rapito il 9 dicembre 1963 a Monza, ostaggio per dodici ore; Agostino Ghilardi, 9 anni, prelevato con il padre ad Arzachena, nel Sassarese il 2 aprile 1971, prigioniero per 36 giorni. Il 21 maggio 1973, a Bergamo, è un lunedì freddo e piovoso. Le 8.25. Mirko Panattoni ha appena salutato mamma Oriana. Corre verso la scuola elementare ‘Giuseppe Garibaldi’. «Mirko, dov’è la mamma?», gli chiede un tale alto, barba, capelli lunghi, occhiali da sole. Apre fulmineamente la portiera di una Volkswagen nocciola mentre afferra il bambino e lo scaraventa nell’abitacolo. Un complice è alla guida.

S’improvvisa un coraggioso inseguimento. La mamma di un altro scolaro vede i due rapitori e la piccola vittima trasbordare su una vettura azzurra e annota la targa. Mirko sparisce per 18 giorni, segregato in due diversi rifugi. La famiglia versa un riscatto di 300 milioni di lire. Il bambino viene liberato a Pontida la notte fra il 6 e il 7 giugno. Il padre e il suo legale, Mirko Tremaglia, lo ritrovano, sporco, impaurito, malamente coperto da un vecchio plaid. L'inchiesta si chiude senza colpevoli. Non ci sarà processo per il telefonista della banda, per due fratelli di Sesto San Giovanni, per un uomo di Sotto il Monte che avrebbe trasformato la sua casa in prigione. L’Italia che fa da sfondo al rapimento di Bergamo vive l’ultima risacca degli anni di serena spensieratezza. Nel 1970, a seguito della rivolta nelle carceri di Linosa e Lampedusa, viene deciso il trasferimento del domicilio coatto di malavitosi e banditi dalle isole al settentrione. È un’autentica diaspora di mafiosi e banditi seriali che si spostano al Nord, specie a Torino, Alessandria, Bergamo, Cremona, Mantova, Vigevano, presto raggiunti da famiglie, parenti anche meno stretti, gregari. I clan si ricompattano. Girano affari, circolano soldi e anche il germe dei sequestri di persona trova terreno fertile per attecchire.

Le statistiche dicono 669 sequestri di persona in ventotto anni, fra il 1969 e il 1997, con 75 casi nel 1977 e 59 nel 1979, gli anni del boom. In quasi trent’anni al primo posto la Lombardia, la regione più industrializzata e quindi del ‘pronto cassa’ facile secondo la mentalità criminale, con 156 sequestri; poi la Calabria con 128, terza la Sardegna con 107. Sono i casi che hanno avuto il crisma di una denuncia, il viatico di un’indagine, perché c’è anche la nebulosa di quelli non denunciati, conclusi in qualche ora o in pochi giorni con il versamento del riscatto.