Capriate: troppe provocazioni in campo, giocatore si ritira. "Non gioco più"

Il ragazzo senegalese ha reagito a un insulto razzista in una partita di seconda categoria: 13 giornate di squalifica ma lui lascia il calcio

Mbengue Dara, trequartista della Uso Capriate

Mbengue Dara, trequartista della Uso Capriate

Capriate (Bergamo), 5 novembre - Per non essere più provocato ha deciso di rinunciare alla sua grande passione, il calcio. «Sarà esagerato ma non torno indietro» dice Mbengue Dara, 24 anni, originario del Senegal, da 15 anni in Italia, dove vive a Telgate. Domenica 27 ottobre è stato protagonista di un brutto episodio durante la partita di Seconda categoria tra Boltiere e Capriate, squadra per la quale gioca (anzi, giocava) da trequartista, come il suo idolo Kakà.

Un avversario lo avrebbe insultato. «“Negro di m... tornatene al tuo paese!“ mi ha detto. Non ci ho più visto». Dopo quelle parole il ragazzo è andato in escandescenze: durante un’azione di gioco ha tirato un calcio a un avversario (un fallo di frustrazione pagato con l’espulsione) danneggiando poi delle panchine e insultando a sua volta l’avversario, come riporterebbe il referto dell’arbitro. «Ho sbagliato – ammette – sono umano e a volte mi faccio trascinare dalle emozioni. Ma chi pronuncia certe parole sa di toccare corde ben precise: la mia identità, le mie origini, la mia essenza. Con quelle parole disprezza ciò che sono, mi fa capire che non sono benvenuto».

Non sarebbe la prima volta che succede, assicura. Lo scorso anno un difensore avversario, rivolgendosi ai compagni, avrebbe detto: «Il negro lo marco io, lasciatelo a me». Anche in quel caso ha reagito, lanciando il pallone in tribuna; proprio come ha fatto Balotelli durante la partita di Serie A tra Verona e Brescia, dopo i “buuu“ dagli spalti. «Mario? Mi piacerebbe tanto incontrarlo – commenta Mbengue –. Gli direi di lasciare il campo la prossima volta. Certe persone devono capire che dall’altra parte ci sono uomini in carne e ossa, che di questi cori non ne possono più. Anche la procura federale dovrebbe capirlo e prendere provvedimenti: il razzismo non va solo combattuto, ma punito – osserva –. Per me il calcio non è un lavoro, ma una passione e in quanto tale deve rendermi felice. Invece, da qualche anno a questa parte, spesso esco dal campo incazzato per questi episodi».

A Mbengue piace la filosofia. Nei post su Facebook cita Hegel e parla di appelli alla pacifica convivenza. «Il bello del calcio è che unisce, non divide. Per questo che si vinca o si perda non ci sono sconfitti. Lo diventiamo, invece, quando gli avversari approfittano della non-ingerenza delle istituzioni federali per offendere i giocatori di colore, innervosirli, farli espellere per dare vantaggio alla propria squadra senza essere puniti. Per alcuni ogni mezzo vale per vincere, ma la discriminazione no, deve restare fuori».

La società Uso Capriate ha preso posizione: «Il nostro tesserato Mbengue Dara – si legge in un comunicato – paga con 13 giornate di squalifica una serie di errori e reazioni non ammessi né dal regolamento né dalla società, che per questo accetta la decisione del giudice sportivo e non presenterà ricorso». La dirigenza sottolinea che il calciatore non era mai stato protagonista di certi episodi, «è un atleta corretto in campo e fuori», per cui spera in un ripensamento, per lottare contro questi episodi dall’interno. «Professionisti o dilettanti – continua il comunicato – il colore della pelle non può nel 2019 essere una discriminante in ambito sportivo o sociale. Nonostante la Figc si stia impegnando duramente per sconfiggere il morbo della discriminazione territoriale, gli insulti a carattere razziale sono sempre più presenti nel calcio a tutti livelli». La società sottolinea infine «il buon esempio dei tifosi di casa, che hanno condannato ciò che stava accadendo sul rettangolo verde. Crediamo nell’integrazione e siamo fieri di annoverare tra le nostre squadre giocatori di origine straniera». Dalla prossima partita - spiega il club - di fronte a insulti o provocazioni razziste, ritireranno la squadra.