Omicidio di Seriate, il figlio della vittima: "Indagine a senso unico, papà è innocente"

Tre anni fa la morte di Gianna Del Gaudio. Marito a processo

Gianna Del Gaudio e Antonio Tizzani

Gianna Del Gaudio e Antonio Tizzani

Bergamo, 25 agosto 2019 - Abbozza un sorriso. Saluta con la mano dalla finestra della camera da letto al primo piano, protetta dalle sbarre di ferro che ha fatto installare di recente su tutte le porte e le finestre della villetta di piazza Madonna delle Nevi, a Seriate. Poco dopo, al telefono, si limita a uno stringato: «Ci siamo salutati. Fermiamoci al saluto». Alla vigilia del terzo anniversario dell’omicidio della morte della moglie Gianna Del Gaudio (sgozzata la notte fra il 26 e il 27 agosto nella cucina dell’abitazione), Antonio Tizzani si avvolge nel silenzio. Un silenzio suggerito o forse imposto dal suo difensore Giovanna Agnelli. In tre anni l’ex capostazione, 71 anni, con il pm Laura Cocucci, titolare delle indagini, si è avvalso della facoltà di non rispondere, ma ha parlato più volte con i giornalisti. Le sue dichiarazioni sono finite agli atti del procedimento (è stato rinviato a giudizio, la prima udienza del processo sarà il 4 dicembre). Ha sempre accusato del delitto un misterioso incappucciato, che si sarebbe introdotto in casa attorno a mezzanotte, mezzanotte e mezza, passando dal giardinetto sul retro, mentre lui era uscito per gettare l’immondizia.

«Sì, papà adesso non parla più - conferma il figlio Paolo, affabile e ospitale come sempre -, anche perché a volte si era visto infarcire le dichiarazioni». Attende «del tutto tranquillo e sereno». Paolo abita con la famiglia in una casa nello stesso complesso residenziale, identica come planimetria a quella dei genitori, da cui dista solo una ventina di metri. Inferriate anche qui. «Se ci fossero state - dice Paolo - non sarebbe entrato nessuno e non sarebbe successo nulla. Avremmo dovuto pensarci prima».

Con la moglie, i bambini e papà Antonio, è tornato da una vacanza a Gabicce. La Riviera romagnola è l’approdo abituale dei Tizzani. «Ci andiamo da più da venticinque anni, sempre a Miramare di Rimini. Tre anni fa è stata l’ultima vacanza anche con mia madre. Mi manca. Mi mancano i suoi consigli. Ci eravamo trasferiti in questa casa proprio per essere vicini ai miei». Mostra sullo smartphone la foto dei genitori, abbracciati in riva all’Adriatico. Quell’anno Antonio e Gianna avevano proseguito le vacanze ad Avellino, la città di origine dell’ex ferroviere. Il giorno dopo il ritorno a Seriate, l’omicidio di Gianna.

«Papà sa che non ha fatto niente. Se c’è una cosa che lo fa soffrire è quella che lo si possa considerare una persona violenta. Chi lo conosce sa benissimo che non lo è, che è un uomo buono e pacifico e non può essere stato lui. Certo, i litigi c’erano, come in tutte le famiglie. E poi in estate, quando le finestre sono aperte e c’è silenzio, tutti li possono sentire. A me e a mio fratello Mario ha raccontato la stessa versione, quella che ha sempre confermato. Si è subito puntato su di lui, si è indagato solo su di lui. E alla fine non si è trovato praticamente nulla».

Un mese e mezzo dopo l’omicidio, in una siepe a circa 600 metri dall’abitazione, era stato ritrovato un sacchetto di mozzarelle che conteneva un cutter e un paio di guanti in lattice. Sulla lama del cutter il sangue della vittima, sul manico il Dna “parziale” di Tizzani. Su un guanto un profilo genetico mai attribuito nonostante una settantina di comparazioni. «Sì, c’è un Dna ignoto - riflette Paolo Tizzani -. Di chi potrebbe essere? Non ce ne siamo fatti una idea precisa. Dev’essere di uno sconosciuto. Sicuramente non è di mio padre».