Omicidio di Curno, parla il killer: "Non ricordo di averla colpita"

La ricostruzione del delitto nella versione dell'ex marito. "La separazione? Colpa della sorella"

Curno, il luogo dell'omicidio e Marisa Sartori

Curno, il luogo dell'omicidio e Marisa Sartori

Bergamo, 7 febbraio 2019 - Ha parlato per per mezz’ora. Assistito dagli avvocati Rocco Di Sogra e dal collega Mauro Moretti, ieri mattina Ezzedine Arjoun, il 35enne tunisino da sabato notte in carcere con l’accusa di omicidio della ex moglie, Marisa Sartori, 26 anni appena compiuti, e il tentato omicidio della cognata, Deborha, 23 anni, ha fornito la sua versione dei fatti. Davanti al gip, Lucia Graziosi, durante l’interrogatorio di convalida, l’uomo è apparso alterato, tant’è che il suo racconto a tratti è stato nebuloso. Ha ripercorso la versione fornita al pm Fabrizio Gaverini. «Sabato sera avevo bevuto e avevo assunto cocaina, ma non ricordo di aver ucciso mia moglie Marisa», ha detto. «Sono andato sotto casa dei genitori di mia moglie (in via IV novembre, a Curno) perché volevo parlare con lei, con Marisa, per convincerla a tornare con me. Sono sceso nei garage perché sapevo che lei sarebbe arrivata in auto dopo la giornata di lavoro al negozio di parrucchiera di Mozzo. Nell’autorimessa, dentro il box dei rifiuti, su un cassonetto ho trovato il coltello». Un coltello da cucina che il tunisino avrebbe poi gettato in un cespuglio e poi fatto ritrovare ai carabinieri.

«Quando è arrivata in auto - prosegue la sua ricostruzione - ho visto che c’era anche la sorella. Lei e Sonia (la datrice di lavoro della vittima) ostacolavano la nostra relazione. Avevano convinto Marisa che non ero adatto a lei, che non ero l’uomo giusto. È stata Deborha a convincere la sorella a fare la denuncia» al Centro aiuto donna per maltrattamenti, stalking, minacce. Secondo la versione di Ezzedine, quando la cognata l’ha visto «è venuta incontro, mi ha gridato di andarmene perché mia moglie mi aveva dimenticato e stava già frequentando un altro». Una frase che potrebbe aver scaturito l’omicidio. «Dopo aver sentito quelle parole - continua il racconto di Ezzedine - non ci ho capito più nulla e ho colpito Deborha con l’arma. Non ricordo assolutamente di aver accoltellato Marisa. Ho un lungo vuoto. Da lì mi sono ritrovato con le mani sporche di sangue e sono andato dai carabinieri». Una versione che stride con quella degli inquirenti, che sostengono che il tunisino sarebbe arrivato nella palazzina di via IV Novembre e avrebbe inferto i due colpi mortali, al cuore e al petto, alla moglie, e dopo avrebbe colpito Deborha, che cercava di soccorrere la sorella. Il gip ha convalidato l’arresto e confermato la detenzione in carcere, anche perché potrebbe colpire di nuovo la sorella della vittima. Intanto Deborha ha lasciato il reparto di Terapia intensiva, è fuori pericolo. E oggi al Papa Giovanni XXIII si svolgerà l’autopsia sul corpo di Marisa: l’esame accerterà con quanti fendenti è stata uccisa.