Omicidio Colleoni, il figlio uccise il padre per rancore

Secondo i giudici il delitto non è frutto di un eccesso d’ira ma di un "rapporto tormentato"

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"Tra l’inspiegabile atteggiamento, mortificante, irriconoscente e disamorato di Franco Colleoni (in foto), che avrebbe portato l’imputato (il figlio, Francesco, 35 anni) all’esasperazione, e la sproporzionata reazione – consistita nell’omicidio – sussiste una macroscopica sproporzione idonea a troncare il nesso causale tra l’ingiustizia subita e il crimine che ne è seguito. Tanto che l’omicidio non può certamente ritenersi il frutto di un’ira da provocazione apparendo piuttosto l’esito di un sentimento di rancore a lungo serbato e manifestatosi al culmine dell’ennesimo litigio nella forma più efferata". È uno dei passaggi delle motivazioni della Corte alla sentenza di condanna a 21 anni di Francesco Colleoni, cuoco, accusato di avere ucciso il padre, il leghista di Dalmine Franco Colleoni, 68 anni. L’omicidio è avvenuto la mattina del 2 gennaio 2021 nel cortile del loro ristorante Il Carroccio, a Brembo di Dalmine. Il pm Emanuele Marchisio aveva chiesto 22 anni e 6 mesi. La difesa, con gli avvocati Enrico Cortesi e Andrea Filipponi, aveva invocato invece l’assoluzione e, in subordine, la riqualificazione in omicidio preterintenzionale. L’uccisione di Francesco Colleoni da parte del figlio "segna il tragico esito di un rapporto tormentato. La frustrazione di Francesco di fronte ai continui rimproveri del padre ha evidentemente generato nell’imputato uno stato di tensione ed estrema sofferenza". L’imputato ha sempre avuto un legame fortissimo con la madre, e non a caso è stata la prima persona alla quale ha rivelato il terribile gesto e spiegato le ragioni che lo avevano indotto a commetterlo.

In una intercettazione ambientale nella caserma dei carabinieri di via delle Valli, Francesco dice alla madre: "L’ho spinto io. Mamma, sono tranquillo. Non sono mai stato così tranquillo in vent’anni". Ma mai ha descritto il proprio stato d’animo in termini di rabbia o ira e mai ha attribuito la sua reazione a tali incontenibili impulsi. Tra padre e figlio i rapporti erano logori da tempo, un legame compromesso. E non è bastato a ricucirlo nemmeno il fatto che Francesco fosse tornato a Dalmine per dare una mano al ristorante, investendo anche il proprio denaro e fino a proporsi di rilevare l’attività pur di non farla cadere in mani estranee. F.D.