Paziente morta nell'incendio in ospedale: "La fine di Elena ha bisogno di più risposte"

La giovane carbonizzata all’ospedale Giovanni XXIII a Bergamo ha riaperto il confronto sulla contenzione nei reparti di psichiatria

Indiaxé Bahia Souza Venet,  “mamma India”, con la figlia Elena Casetto

Indiaxé Bahia Souza Venet, “mamma India”, con la figlia Elena Casetto

Bergamo, 11 gennaio 2021 - Chiusura delle indagini sulla morte di Elena Casetto, morta carbonizzata il 13 agosto del 2019 in un incendio che si sviluppò all’interno del servizio psichiatrico dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo dove la ragazza si trovava contenuta in un letto. Sono indagati due addetti della ditta che aveva in appalto il servizio antincendio dell’ospedale. Tanti interrogativi. Li raccoglie Giovanni Rossi, psichiatra, dal 2002 al 2010 direttore del Dipartimento di salute mentale del "Carlo Poma" di Mantova, oggi presidente del Club Spdc No Restraint, che raccoglie operatori di servizi psichiatrici di diagnosi e cura dove non è mai applicata la contenzione né fisica né meccanica.

Dottor Rossi, cosa sono le prime cose da chiederci? "Risalendo la catena degli eventi, dovremmo chiederci come si sia potuto sviluppare l’incedio. Se partì dalla stanza, vi fu un innesco per un corto circuito o altre ragioni connesse alla struttura? Se partì da un’ iniziativa di Elena, furono adeguati gli interventi di dissuasione e sorveglianza? Consideriamo questa circostanza. Elena sarebbe stata in possesso di un accendino. Sappiamo che Elena fu chiusa e contenuta meccanicamente. Dunque, si riteneva che potesse essere di danno a se stessa. Come è potuto accadere che avesse, se dimostrato, un accendino?"

Perché lo avrebbe acceso? "Possiamo fare due ipotesi. Per suicidarsi o per liberarsi delle contenzioni. In ogni caso, è evidente che la presenza di un operatore sanitario nella stanza avrebbe impedito l’utilizzo dell’accendino o quanto meno provveduto a spegnere immediatamente il principio di incendio. Un ulteriore interrogativo riguarda proprio la solitudine di Elena. Che stava male, nessuno l’ha messo in dubbio, al punto che si decise di isolarla e contenerla. Il primo dovere di un operatore sanitario è prendersi cura della persona che gli è affidata. Nessuno si accorse che Elena necessitava della presenza costante di un operatore al suo fianco, quantomeno per sorvegliarla se non, come sarebbe stato auspicabile, per darle sostegno e ascolto? Si dirà: “Sono state rispettate le indicazioni che richiedono il monitoraggio ogni 15 minuti”. Questo fa porre una ulteriore domanda E cioè se tali indicazioni siano adeguate. Evidentemente nel caso di Elena non lo furono".

Quali possono essere le ragioni per cui Elena fu contenuta meccanicamente e isolata? "Questa è ormai considerata da tutti una extrema ratio a cui ricorrere se sussiste uno stato di necessità. Un comportamento non di natura sanitaria è giustificato da ragioni di pericolo attuale e inevitabile. La ragione dell’intervento di forza maggiore risiede proprio nell’evitare un danno grave alla persona e la limitazione del diritto deve essere proporzionale. Se queste erano le intenzioni, nel caso di Elena il risultato fu ben diverso. Dobbiamo pertanto, e a maggior ragione visto l’esito, chiederci se, all’interno di un servizio ospedaliero specialistico, in presenza di medici e infermieri specializzati nel trattamento del disagio psichico, davvero sussistessero le condizioni per fare ricorso alla limitazione delle libertà personale di Elena".

Quella di contenere Elena fu dunque una decisione sbagliata? "In quel servizio, nel 2019, risulta che siano state messe in atto 300 contenzioni meccaniche nei confronti di 86 persone. Un numero decisamente elevato per giustificarle tutte con lo stato di necessità. È evidente che se non venissero riconosciute le ragioni di necessità che portarono alla contenzione e all’isolamento delle ricoverata, potremmo ritenere sbagliata questa decisione e collegarla alla morte di Elena. Infatti, se Elena non fosse stata contenuta e isolata, non si sarebbero verificate le circostanze successive che portarono alla sua morte".

Allora cosa ritiene necessario? "È bene che venga chiarito, senza lasciare alcuna ombra di dubbio, se esistessero i motivi dello stato di necessità per contenere e isolare Elena Casetto o se potessero essere adottate strategie alternative".