Gianna Del Gaudio e Daniela Roveri, la pista di un unico serial killer dietro gli omicidi

Ex docente uccisa a Seriate, l'assoluzione del marito Antonio Tizzani e le motivazioni dei giudici: l'assassino forse è lo stesso della manager Roveri, aggredita a Bergamo

Gianna Del Gaudio e Daniela Roveri

Gianna Del Gaudio e Daniela Roveri

Seriate (Bergamo), 11 gennaio 2023 - Un uomo scagionato da una doppia assoluzione piena. Il delitto di Seriate e il responsabile rimangono avvolti nell’involucro di un enigma. E su questo, come su un altro omicidio, vicino nel tempo e nello spazio, si è allungata l’ombra di un serial killer. Non esiste alcuna prova che Antonio Tizzani, 75 anni a breve, ex capostazione, abbia ucciso la moglie Gianna Del Gaudio, 63 anni, insegnante in pensione, con una terribile coltellata alla gola. Era la notte fra il 26 e il 27 agosto del 2016, nella villetta di famiglia a Seriate. In settanta pagine il consigliere estensore Massimo Vacchiano motiva la sentenza con cui, il 7 ottobre dello scorso anno, la Corte d’Assise d’appello di Brescia ha confermato la sentenza pronunciata dall’Assise di Bergamo: assoluzione per non avere commesso il fatto per l’imputazione di omicidio volontario aggravato, assoluzione perché il fatto non sussiste per quella di maltrattamenti in famiglia.

Tizzani ha sempre accusato uno sconosciuto con il volto in parte celato dal cappuccio di una felpa. È stato creduto. Quattro mesi dopo. La sera del 20 dicembre 2016. Daniela Roveri, 48 anni, responsabile alla Icra di San Paolo d’Argon, viene trucidata con un fendente alla gola nell’androne del palazzo al numero 11 di via Keplero, nel quartiere Colognola di Bergamo. Due delitti senza colpevoli, nello stesso anno, nell’hinterland e in città. Due storie scorse in parallelo, senza mai trovare l’incastro decisivo. Per il caso Roveri vengono scoperte una traccia organica sulla guancia e un’altra sull’indice della mano destra della manager. Risulta possibile estrarre solo l’aplotipo Y, combinazione cromosomica che si trasmette unicamente ai discendenti maschi, necessario per individuare il ceppo familiare ma non l’individuo perché può riguardare più persone. È lo stesso aplotipo individuato su uno dei guanti trovati a Seriate insieme con il cutter, arma del delitto. Un solo assassino per entrambi i delitti? Quesito senza risposta dal momento che dalle tracce dell’omicidio Roveri non può essere ricavato un Dna completo da confrontare con quello di Seriate. Per l’Assise di Bergamo "è innegabile che sussista un ragionevole dubbio di un collegamento tra i due omicidi".

Un omicidio commesso al culmine di una lite furibonda fra i coniugi, colta dai vicini. Era un caposaldo dell’accusa contro Tizzani. Ma secondo la Corte bresciana questa ipotesi è ostacolata proprio "dalla quasi totalità dei testi, i quali non hanno ricordato affatto di aver udito grida evocanti un litigio in corso, avendo precisato di aver sentito soltanto le urla di un uomo". Altre circostanze fanno escludere l’alterco. La vittima è stata aggredita alle spalle, di sorpresa, mentre era intenta a rigovernare nel lavandino. Lo provano la mancanza di grida e l’assenza di ferite da difesa. L’assassino ha usato dei guanti. Un omicidio premeditato o che ha comunque richiesto un minimo di preparazione? Escluso. Il cutter è stato abbandonato nel cespuglio di un giardino. "Pochi" metri rispetto all’abitazione di Tizzani per rappresentare un nascondiglio sicuro, "troppi" per essere un posto raggiungibile in poco tempo (15 minuti) e tornare subito a casa. L’anziano ferroviere non aveva su di sé la minima traccia di sangue. Non si lavò le mani. Non si cambiò. Il suo atteggiamento fu "lineare e conseguente", confuso, disperato. L’assassino mascherato. Appare "sufficientemente credibile" la versione di uno sconosciuto sorpreso dall’imputato a frugare nella borsetta di Gianna. Tizzani ha parlato di mani scure. Sapendo di avere usato i guanti (sporchi di sangue) avrebbe dovuto dichiarare che anche l’assassino li portava. I guanti di lattice non appartenevano alla dotazione casalinga. Il profilo impresso è rimasto quello di un "Ignoto 1", mai attribuito, Anche il cutter non faceva parte dell’attrezzatura domestica. Quindi Tizzani "si sarebbe preventivamente procurato non solo i guanti, ma anche il cutter per uccidere la moglie". Non è credibile. Sul cutter, in una collocazione singolare perché coperta dall’impugnatura, è stato rilevato un Dna compatibile con quello di Tizzani. Il difensore Giovanna Agnelli (con il consulente Giorgio Portera) ha sempre contestato il prelievo eseguito dal Ris, eccepito la sua nullità processuale, sostenuto la tesi della contaminazione, vista la singolare posizione della traccia. La sentenza di Brescia ha dato ragione alla difesa.