Funerali di Gimondi: rivali, compagni e tanti tifosi per l’abbraccio più intenso

Oltre duemila persone per l'ultimo saluto al grande campione

La folla ai funerali di Felice Gimondi

La folla ai funerali di Felice Gimondi

Paladina (Bergamo), 21 agosto 2019 - La bara viene portata a spalla da Gianbattista Baronchelli, Massimo Girotto, Osvaldo Bettoni, Dario Acquaroli, Moreno Argentin, Paolo Savoldelli, Beppe Manenti, Giovanni Bettinelli. Si saldano le generazioni nel segno di Gimondi e in quello del ricordo e della nostalgia. Anche se sarebbe stato bello vedere qualcuno dei protagonisti di oggi.

I ricordi riaffiorano, s’intrecciano, si rincorrono mentre la gente non smette di assieparsi e alla fine saranno in più di duemila per salutare un grande campione e un uomo semplice e vero. E poi ancora in chiesa, mentre diciotto sacerdoti concelebrano e la voce di Leslie Abbadini cesella l’”Allelujah” di Leonard Cohen, l’AveMaria in latino e in inglese, “C’era una volta il West” di Morricone”. «Gimondi – dice Davide Cassani, ct della nazionale di ciclismo – è stato il primo campione per il quale ho tifato. Nel ‘73 non andai al matrimonio di mio zio per vedere i mondiali. I miei mi portarono dalla nonna e così lo vidi vincere a Barcellona. Ai miei occhi di bambino era un idolo, volevo diventare come lui. Nel ‘78 marinai la scuola per la tappa del Monte Trebbio. In maglia rosa c’era Merckx, ma io ero lì per Gimondi». In corsa erano fieri avversari: Beppe Saronni e Francesco Moser. «Ho fatto con lui e con Bitossi il mio primo mondiale. Al’inizio gli davo del ‘lei’. È stato un personaggio come non ce ne sono più. Aveva principi fondamentali. Potevi non essere d’accordo, ma li dovevi ascoltare». Francesco Moser è con i fratelli Aldo e Diego, manca Enzo. Una famiglia per il ciclismo. Al Giro d’Italia del 1976 il trentino, giovane astro nel firmamento ciclistico, è fra i favoriti. Invece vince il “vecchio” Gimondi, con i suoi 34 anni. «Il ricordo più bello che ho di Felice appartiene più a lui che a me: in quel Giro è riuscito a battere in volata Merckx sul traguardo di Bergamo. Quando ho incominciato a vederlo correre, io non avevo ancora iniziato. Rispetto a quei tempi il ciclismo è profondamente cambiato».

Marino Basso è un fiume in piena, la “ciacola” veneta ha in lui un grande interprete. Velocista dallo spunto proibito, è stato compagno di squadra e di camera di Felice. «Io dormivo come un tasso. Lui un po’ se la prendeva. ‘Dormi amò??’, ‘Stai già dormendo’, mi chiedeva, ma ero troppo addormentato per sentirlo. Felice sembrava un burbero e non lo era. Lo definirei un vecchio contadino. Andavamo d’accordo, contadino lui, contadini io». Sono nella stessa camera anche la notte del mondiale spagnolo. Non riescono a prendere sonno, accendono la luce, sfogliano i giornali, chiacchierano. Se si potesse sapere come finirà, così poi si dormirebbe. Finirà che Gimondi regolerà nell’ordine Maertens, Ocana e lui, Sua Maestà Eddy, e sarà campione del mondo. Marino il titolo iridato l’ha vinto l’anno prima a Gap, bruciando all’ultimo metro Franco Bitossi. «Merckx si era comportato male al Tour e glielo aveva promesso: i conti li facciamo al mondiale. Io non avevo paura di lui, non ne avevo di nessuno. Felice era prudente, il percorso è lungo, ci sono salite, c’è questo e c’è quello. Quando ho visto Merckx era lì che non si muoveva, ho dato gas e sono partito».