"Ex prof uccisa da un ladro. Tizzani è innocente"

Bergamo, l’omicidio di Gianna Del Gaudio. In aula l’arringa dell’avvocato del ferroviere: è stato un agguato. Il pm ha chiesto l’ergastolo

Migration

di Francesco Donadoni

Ieri è stato il turno della difesa di Antonio Tizzani, l’ex capostazione di 72 anni unico imputato per l’omicidio e per i maltrattamenti ai danni della moglie Gianna Del Gaudio, 63 anni, uccisa nella villetta di via Madonna della Neve a Seriate con un taglio netto e profondo alla gola, la sera tra il 26 e il 27 agosto del 2016. L’imputato, così come la volta scorsa, non era in aula, proprio nel giorno in cui il suo avvocato Giovanna Agnelli, dopo due ore di arringa, ha chiesto davanti alla corte presieduta dal giudice Giovanni Petillo l’assoluzione del ferroviere sia per l’omicidio sia per i maltrattamenti all’ex professoressa. La difesa ha sostenuto come l’omicidio sia stato un agguato e non il culmine di una lite tra coniugi, come ha sostenuto il pm Laura Cocucci che ha chiesto la condanna all’ergastolo. La ricostruzione della difesa di quella notte. Qualcuno, un ladro incappucciato, sarebbe entrato nella villetta mentre la vittima era intenta a lavare i piatti. L’avrebbe agguantata da dietro senza darle nessuna possibilità di ribellarsi. Poi avrebbe rovistato nella borsa, afferrato la famosa collana della donna (che non è mai stata trovata) e sarebbe scappato scavalcando il cancelletto dalla parte della cucina. Nessuno ha sentito Gianna gridare "perché quella sera non c’è stata nessuna colluttazione", e le uniche urla, sempre per la difesa, sono dell’ex ferroviere. Grida per la disperazione, dopo aver trovato il corpo della moglie in un lago di sangue. "Tizzani è un uomo all’antica, una sorta di padre padrone, magari abituato a comandare e a farsi servire, ma mai avrebbe fatto del male alla moglie. Sono stati assieme dal 1969 al 2016, si volevano bene". Il difensore ha insistito molto sui presunti maltrattamenti subiti dalla vittima. "Ma quando mai l’avrebbe picchiata?", si è chiesto il difensore dell’ex capostazione, "visto che da quando erano in pensione stavano sempre a casa. Uscivano per la messa e le spese. Due volte l’anno in vacanza. Tenevano i nipotini e i cani dei figli. Avevano spesso e volentieri i figli a pranzo e cena. Per cui non c’era il momento per pestarla. Anche le testimonianze dei figli non hanno mai raccontato di litigi. Qualche sberla e null’altro. Diverso il discorso sui vicini e sulla nuora Elena, che ha detto solo bugie".

Altro punto importante, ha sostenuto ancora l’avvocato, l’imputato non avrebbe potuto uccidere la moglie senza sporcarsi di sangue (i vestiti erano puliti). Oltre che sugli indumenti, non sono state riscontrate tracce sull’orologio di Tizzani e sull’anello. Solo una impronta sulla ciabatta, ma logica visto il lago di sangue in cui si trovava l’ex prof. Per la difesa non regge la ricostruzione dell’accusa, secondo cui l’imputato dopo aver ucciso la moglie "in cinque minuti avrebbe costruito la scena del crimine, lavato e nascosto l’arma". Infine l’avvocato Agnelli è tornata a ribadire che la presenza del Dna dell’imputato sul cutter, arma del delitto, trovato nella siepe in via Presanella, nella busta di mozzarelle assieme ai guanti di lattice sulla scorta della consulenza del genetista Giorgio Portera, può essere dovuta a un caso di contaminazione tra i vari reperti salivari di Tizzani presenti nel laboratorio dei Ris, oppure per trasferimento dal sacchetto di mozzarelle, preso dall’assassino e utilizzato per avvolgere l’arma ritrovata insieme a un paio di guanti con un Dna ignoto. Per l’accusa, invece, il Dna di Tizzani è la prova del delitto, come è emerso dall’accertamento dei Ris sul campione siglato 308, accertamento eseguito il 9 novembre, "senza che la difesa sia stata informata". Repliche e sentenza il 23 dicembre.