Prof uccisa a Seriate: "Ma quale omicidio, solo qualche schiaffo..."

In aula il marito Antonio Tizzani: "Mai presa a botte in faccia, con quello che mi era costata in dentisti"

Antonio Tizzani

Antonio Tizzani

Bergamo, 28 ottobre 2020 - Cardigan blu, cravatta a pois. Mascherina sempre sul viso. Sono da poco passate le dieci quando Antonio Tizzani, 72 anni, unico imputato al processo per l’omicidio della moglie Gianna Del Gaudio, avvenuto nella notte tra il 26 e il 27 agosto 2016 nella loro villetta di via Madonna della Neve, a Seriate, si siede davanti alla giuria popolare. Il presidente della Corte d’assise, Giovanni Petillo, si rivolge all’ex ferroviere: "Signor Tizzani, vuole parlare?". "Sì". Da quel momento, due ore di risposte alle domande dell’accusa, pm Laura Cocucci, e dalla difesa, l’avvocato Giovanna Agnelli. Il pm fa ascoltare (e legge) intercettazioni ambientali captate delle cimici degli inquirenti sulla Fiat Bravo di Tizzani in cui lui parlava da solo.

«Cosa ho fatto? Ho ammazzato mia moglie in quel modo e adesso sono rimasto solo come un cane, voglio morire". E ancora: "Ho ucciso un angelo, perché Dio? Perché mi hai fatto arrabbiare? Perché me l’hai fatta picchiare? Perché non me l’hai tolta?". Sono intercettazioni che risalgono al 10 febbraio 2017. L’ex ferroviere Antonio si sfoga con se stesso in auto. Nella lunga deposizione di ieri il pm Laura Cocucci ha chiesto conto anche di queste frasi all’ex ferroviere. Replica di Tizzani: "Bisogna mettere dei punti di domanda a quelle frasi. Me le facevo da solo a proposito di quello che dicevano di me, perché mi accusavate tutti", ha spiegato l’imputato. Precisando poi, aiutato dal suo avvocato, che si sentiva in colpa per non avere impedito che la moglie venisse ammazzata. Ma sono stati diversi i punti sui quali l’accusa ha portato Tizzani a rispondere. I presunti maltrattamenti, ad esempio.

"Non ho mai messo le mani addosso a mia moglie, al massimo alzavo la voce – ha dichiarato – Non erano liti, le nostre, ma soltanto delle discussioni in cui lei aveva sempre l’ultima parola". Incalzato dal pm, Tizzani ha ammesso di aver dato alla moglie degli schiaffi. "Sberle non ce ne sono mai state, con quello che mi era costata, 24 mila euro per rifare i denti a mia moglie", ha risposto, ammettendo solo qualche "schiaffetto alla nuca, per dire di smetterla". Ma tutto sarebbe avvenuto, a suo dire, in discussioni che si chiudevano subito. "Finiva là, anzi l’ultima parola era sempre la sua. Eravamo liberi, andavamo fuori a mangiare", ha ricordato Tizzani. Il pm gli ha fatto ascoltare la telefonate del figlio Mario con la sua compagna Alessandra in cui definiva la madre vittima. E l’ex ferroviere ha replicato che "sono io la vittima e lo sono ancora perché sono solo come un cane".

Di nuovo l’accusa: "Scusi, Tizzani, vuole far credere che è colpa di sua moglie se adesso lei è solo? Guardi che sua moglie non si è suicidata, ma è stata ammazzata". Ha negato di essere stato geloso di Gianna, e tantomeno impulsivo, nonostante quelle voci di quell’amicizia con un collega, professore nella stessa scuola dove insegnava la vittima. "Siamo stati fidanzati dal 16 agosto del 1969, quando lei aveva 16 anni e io 21". E si arriva alla sera del delitto. La versione non cambia: "Quando sono rientrato dopo avere annaffiato il giardino ho visto un uomo con una felpa e il cappuccio alzato chino sulla borsetta di Gianna". Tizzani non lo avrebbe visto in volto. "“Chi sei” gli ho urlato. Quello è scappato e io ho cercato di inseguirlo, ma poi ho visto mia moglie a terra e mi sono fermato". E ha esclamato: "Gianna, che è successo? Poi sono rimasto dieci minuti seduto in giardino prima di chiamare i soccorsi, a chiedermi perché proprio a lei".