Omicidio di Curno, uccisa dall'ex marito: in aula sarà battaglia

Affidata al consulente la perizia sull’assassino. La soerlla della vittima: "Sarò presente"

Marisa Sartori aveva da poco compiuto ventisei anni

Marisa Sartori aveva da poco compiuto ventisei anni

Curno (Bergamo), 16 marzo 2019 -  E' stata affidata al dottor Sergio Luca Monchieri, da anni consulente delle procure di Bergamo, Brescia e Cremona, la perizia psichiatrica nei confronti di Ezzedine Arjoun, il 34enne tunisino, accusato dell’omicidio della ex moglie Marisa Sartori, 25anni, e del tentato omicidio della cognata Deborha, 24 anni, avvenuti la sera del 2 febbraio in via novembre a Curno, nel garage della casa dove vivono i genitori delle due sorelle. L’incarico ufficiale, da parte del pm Fabrizio Gaverini, titolare dell’inchiesta, è avvenuto giovedì. La perizia dovrà accertare la capacità di intendere e volere dell’imputato, attualmente in carcere.

La decisione del sostituto era legata anche al comportamento di Arjoun, difeso dagli avvocati Daniela Serughetti e Monica Di Nardo, che nelle ultime settimane è stato trasportato più volte dalla cella della casa circondariale di via Gleno al pronto soccorso dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo per atti autolesionistici. Il magistrato, quindi, ha deciso di accertare lo stato della salute psicologica dell’uomo. Il tunisino ha sempre sostenuto che l’aggressione non è stata premeditata, ma scatenata, secondo la sua versione, dalla reazione furiosa a una frase detta da Deborha, che quel giorno era andata a prendere Marisa a Mozzo, dove lavorava come parrucchiera. Solo dopo aver sentito quella frase, Ezzedine avrebbe recuperato il coltello scoperto poco prima nel locale spazzatura e infierito su Marisa.

Versione smentita dalla sorella della vittima, che ha detto che Ezzedine aveva il coltello con sé fin dall’inizio. Deborha, martedì, per la prima volta dopo quella drammatica sera, ha parlato. Di sé, di Marisa, del rapporto che c’era fra loro due, ha ricordato quei terribili momenti, le urla. Poi il risveglio, la domenica, in un letto dell’ospedale Papa Giovanni XXIII, dove è stata ricoverata per dodici giorni. Il primo pensiero è stato per la sorella: «Marisa è viva o morta?». Addosso si porta ancora i segni, le ferite, una sotto il seno, un’altra al fianco, che la medicina ha guarito. Immagina Marisa come un albero che continua a vivere («Non vado a trovarla spesso al cimitero») e ha già detto che al processo lei vuole essere presente.