Coronavirus, il vescovo di Bergamo: "Tre stipendi devoluti in solidarietà"

La proposta di monsignor Beschi ai 900 sacerdoti della diocesi: "Un sacrificio forte ma necessario"

Il vescovo Francesco Beschi all’ospedale dal campo costruito dagli Alpini

Il vescovo Francesco Beschi all’ospedale dal campo costruito dagli Alpini

Bergamo, 7 aprile 2020 - "Propongo di rinunciare a tre nostre mensilità: è un sacrificio forte. Mi sembra importante che come abbiamo rappresentato la nostra vicinanza a tutti in queste settimane, lo facciamo con un gesto significativo, perché molto esigente, anche per il prossimo futuro". A parlare è il vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi, rivolgendosi ai sacerdoti della grande diocesi bergamasca. Un appello che arriva, forse non a caso, all’inizio della settimana santa. La diocesi di Bergamo infatti ha intenzione di istituire un fondo di solidarietà per la prevedibile crisi economica che si manifesterà dopo la fine dell’emergenza coronavirus e i cui effetti, in parte, cominciano già ad avvertirsi. Monsignor Beschi quindi ha pensato di cominciare a “riempire” questo fondo con gli stipendi che solitamente vengono elargiti a parroci, presbiteri, diaconi e ovviamente anche allo stesso vescovo. Secondo le ultime disposizioni della Conferenza episcopale italiana, risalenti allo scorso anno, lo stipendio base di un parroco si aggira intorno ai 1.200 euro al mese.

La cifra sale, ovviamente, per i porporati o per chi ha cariche di una certa responsabilità. In tutta la diocesi ci sono 389 parrocchie e quasi tutte hanno un parrocco (alcune lo dividono con altre). Si considerino poi vicari, cappellani, assistenti, religiosi e si arriva a un totale di quasi 900 sacerdoti. La cifra che quindi potrebbe essere raccolta è considerevole. Monsignor Beschi lo ritiene un gesto molto importante: "Mentre la pandemia manifesta qualche indizio di rallentamento – precisa il vescovo di Bergamo - vediamo profilarsi problemi sociali ed economici enormi. Tutto prospetta sfide impressionanti e molto impegnative. La Diocesi sta lavorando al progetto di un fondo di solidarietà che testimoni la prossimità della Chiesa nei confronti della famiglia, del mondo del lavoro, delle nostre istituzioni educative e assistenziali e dei poveri". Monsignor Beschi non dimentica il lavoro che la chiesa bergamasca sta facendo per fronteggiare la pandemia e l’ingente tributo, in termini di vite, che la Bergamasca sta pagando a causa del coronavirus. "A tempo debito – dice il vescovo – vorrei celebrare un’eucaristia per tutti i defunti; mi sembra opportuno che questo avvenga anche in ogni parrocchia: ogni famiglia si accorderà quindi con i propri sacerdoti per la messa esequiale dei propri cari".

Intanto i parrochi bergamaschi rispondono alla suggestione del leader leghista Salvini di aprire le chiese a Pasqua. "Io sto con quello che decide il Governo, non a quello che dicono alcuni politici senza saper bene per quali ragioni - commenta don Antonio Guarnieri da Nembro, epicentro dell’epidemia coronavirus -. Qui abbiamo avuto moltissime perdite. Non mi lascio trasportare da certe uscite, ho più a cuore la salute dei miei parrocchiani. In questo momento alla distanza fisica sopperisce la vicinanza spirituale". E poi, sottolinea don Antonio, "i fedeli possono sempre seguire la messa in streaming". Sulla stessa linea don Giuseppe Locatelli di Albino, altro paese decimato dalla malattia. "Purtroppo - osserva - in questo periodo abbracci e strette di mano sono diventati armi letali, mentre la solitudine è un’azione virtuosa. Più ci sacrifichiamo adesso prima ne veniamo fuori, anche se questo comporta fatica e sofferenza". A Zogno a marzo sono stati 87 i morti, nel 2019 erano stati 6. "La nostra realtà è drammatica - taglia corto don Angelo Vigani - per questo il messaggio che si continua a dare è quello di stare a casa. Onestamente, fatico a trovare un senso a questa proposta".