Sintomi da Coronavirus, muore a 65 anni dopo un calvario sanitario: la storia di Siro

Un passaggio al pronto soccorso, la febbre e il sospetto. La figlia: ho chiamato tutti i numeri, per giorni nessuna risposta

Siro Marchesi

Siro Marchesi

Torre de' Roveri, 15 marzo 2020 - Dolore , ricordi, preghiere e ansia davanti al congiunto composto nella bara. Una lunga storia d’amore che al suo epilogo terreno si fa incubo, per effetto del tarlo che scava nella mente: "Papà è morto dopo aver manifestato i sintomi del coronavirus". Lo dice Asia Marchesi, figlia di Siro, 65 anni, trapiantato ai Bozzi Marini, nello Spezzino, che ha esalato l’ultimo, tormentato, respiro nella casa del suo paese natale, Torre De’ Roveri, dopo aver soggiornato, fino al 6 marzo scorso, nella località collinare a cavallo fra Lerici e Ameglia e un transito pregresso al pronto soccorso di Bergamo il 22 febbraio, quando il coronavirus stava iniziando a mettere in ginocchio la Lombardia.

Asia sta ricevendo tante testimonianze di solidarietà dagli amici lericini di Siro, quelli che lo hanno conosciuto e stimato dopo la sua discesa nel golfo, 37 anni fa. Qua e là la domanda, tra cordoglio e paura, a motivo dei contatti in sito: "Ma è morto per il coronavirus?". La risposta è pacata, lucida e intrisa di dubbio. "Lo sospettiamo, per questo abbiamo chiesto il tampone sulla salma e su noi familiari". Ieri, dopo la mancata attivazione dell’Asl bergamasca, Asia ha sollecitato anche il sindaco del suo comune. Il tarlo intanto scava. La memoria di lei, di mamma Judit e delle sorelle Viktoria e Miriam si allunga all’estenuante attesa del papà al pronto soccorso di Bergamo, il 22 febbraio: passano due ore prima della visita per un gonfiore al piede. "Non dichiara di essere immunodepresso a causa dei farmaci antirigetto che assume dopo il trapianto di fegato. Non voleva disturbare... Quando sanno del suo trattamento, lo fanno subito entrare. Gli diagnosticano una infezione, gli prescrivono un antibiotico". Che fa effetto.

Il 2 marzo Siro scende in treno nella “sua” Lerici. Già accusa un po’ di tosse, ma non gli dà peso: colpa del freddo, dice. Ogni giorno che passa sta sempre peggio. Matura la voglia di tornare a casa. Accade il 6 marzo, con 7 chili di meno e 37,8 di febbre. Il sospetto del coronavirus si fa strada. "Chiamo i numeri suggeriti alla televisione: al 1500 mi dicono di andare dalla guardia medica sottovalutando il caso (eppure segnalo che mio papà non riesce nemmeno a parlare); la guardia medica non risponde, cade la linea a tutti i tentativi; chiamo il numero verde per la Lombardia, il caso viene preso più seriamente e mi consigliano assolutamente di contattare il 112; eseguo le indicazioni e dopo un’ora e sette minuti di attesa parlo con chi di dovere: prendono indirizzi,dati e sintomatologia del paziente, mi chiedono se è stato a contatto con contagiati da Covid, riferisco di no, ma segnalo che è stato in treno e in pronto soccorso proprio la giornata dello “scoppio” di quella che attualmente è una pandemia.

Vengo sconsigliata di recarmi all’ospedale. Mi reco alla guardia medica. Il dottore rileva che c’è acqua nei polmoni. Prescrive l’aerosol e una mela al giorno. Mi sento abbandonata. Chiamo il sindaco che mi invita a chiamare il 112, come se non l’avessimo già fatto". Lunedì, "munita di mascherina, vado dal medico di famiglia. Qualcosa ottengo: le cure per la polmonite. Papà sembra stare meglio. Poi, venerdì la ricaduta: va in affanno, rantola, si lamenta, fa fatica a muoversi. Chiamo la guardia medica ma non risponde: utente occupato dice la segreteria telefonica. Chiamo delle amiche infermiere. Una si attiva e va a cercare ossigeno: ma la prima farmacia che lo ha è a 40 chilometri. Vorrei portare mio padre all’ospedale. Alle 20,23 il solito infermiere me lo sconsiglia ma rassicura: la richiamerò. Accadrà alle 21,50, 20 minuti dopo l’ultimo respiro di mio padre". E ora "siamo qui a piangerlo, in autoquarantena, con l’incubo del contagio". Con la salma ancora in casa perché le pompe funebri sono oberate di lavoro. Poi lo sfogo: "Sottopongono calciatori, politici, uomini di spettacolo asintomatici al tampone, mentre noi siamo qui, da due settimane abbandonati a noi stessi e, probabilmente, potrebbe essere un potenziale attentato alla sicurezza pubblica anche se uscissimo a fare la spesa".