Coronavirus, da Napoli a Bergamo con coraggio: la missione dell'anestesista volontaria

Il racconto di Anna Lanza: "Ho chiesto ai miei figli di 16 e 9 anni. Mi hanno detto: vai!"

Anna Lanza, 52 anni, anestesista e rianimatore

Anna Lanza, 52 anni, anestesista e rianimatore

Treviglio (Bergamo), 5 aprile 2020 - "Ho due figli: Francesca di 16 anni e Alfredo di 9. A loro ho chiesto se potevo andare e mi hanno risposto semplicemente: vai!" A parlare è la dottoressa Anna Lanza. Napoletana, 52 anni, è anestesista e rianimatore al centro grandi ustionati e al centro antiveleni del Cardarelli di Napoli. Dal 26 marzo è uno dei medici che, su base volontaria, hanno aderito alla task force per supportare i colleghi della Lombardia nell’emergenza Coronavirus. La dottoressa Lanza da poco più di una settimana lavora, per 12 ore al giorno, all’ospedale di Treviglio in cui ci sono 6 reparti dedicati ai pazienti Covid-19. Quando non è tra gli ammalati alloggia nella foresteria del Santuario di Caravaggio dove il rettore, don Amedeo Ferrari, le ha regalato un libricino sul Caravaggio con dedica: "Alla dottoressa Anna, perchè sia sempre protetta".

Dottoressa, la prima domanda è quasi scontata: perché ha scelto di partecipare a questa task force? "Per poter sostenere i colleghi rianimatori in questo immane carico di lavoro, fisico ed emotivo".

Lei lavora a Treviglio dal 26 marzo: che situazione ha trovato? "Ho trovato grandi capacità operative e di analisi, colleghi e infermieri provati ma dediti al loro lavoro sempre, con la pena nel cuore di dover curare anche conoscenti o familiari colpiti dal virus".

Qual è stata la sua prima sensazione? "Attenzione continua da parte della dirigenza nel coordinamento, nodo essenziale nell’affrontare queste maxi-emergenze".

Al momento quale è la criticità maggiore? "La maggiore criticità è insita nella cura stessa dell’ammalato di Covid, un continuo ricercare sul campo qualcosa che non si conosceva prima, non ci sono parametri di confronto. La maggiore criticità è proprio nell’inseguimento della cura ottimale".

C’è una cosa che l’ha colpita particolarmente? « L’arrivo all’aeroporto di Bergamo. C’erano le autorità, tra cui il sindaco Gori. Ci ha detto grazie ma dai suoi occhi, su un volto coperto da mascherina, traspariva un grande senso di dolore profondo che mi ha molto colpito".

Cosa pensa le lascerà questa esperienza come medico e come persona? "Noi non saremo più gli stessi dopo. Come medico mi resterà un bagaglio di conoscenza che potrà servire per il mio ospedale quando ritornerò. Se sono qui è anche grazie alla lungimiranza del mio primario Romolo Villani. Anche lui, come i miei figli, mi ha detto ‘vai’. Un ‘vai’ carico di umanità. Ma non solo: sarò ancora più convinta che dare è prendere. Di mio in genere aggiungo al dare un sorriso, un contatto con il prossimo che ha ancora più valore adesso che ci è negato quello fisico".