Castagneta, terra di campanari

Nella piccola frazione sui Colli resta viva l’antica tradizione popolare

Andrea Casati, 16 anni

Andrea Casati, 16 anni

Castagneta (Bergamo), 20 aprile 2019 - E' un piccolo mondo antico quello custodito nella frazione di Castagneta, arroccata sui colli di Bergamo. Qui, nella parrocchia di San Rocco, due famiglie originarie del luogo, i Casati e gli Spreafico, si dedicano con passione a tramandare di padre in figlio e la tradizione campanaria bergamasca che affonda le sue radici a prima del ‘900. «Viviamo in questa frazione da 275 anni. Capostipite per la nostra famiglia fu Giovanni Casati, nato nel 1884, che insegnò a mio padre Giuseppe e a mio zio Luigi come suonare le campane – racconta Eugenio Casati, classe 1940, erede di questa tradizione per il suono a corda – A insegnarmi quest’arte antica fu zio Luigi: un contadino, reduce dalla seconda guerra mondiale e dal campo di concentramento di Dachau».

Oltre alla famiglia Casati, protagonista da sempre di questa storia anche la famiglia Spreafico, con Luigi, Mario, Pietro, Franco e Berto, unico erede oggi in vita. L’orchestra era poi completata da altre due figure storiche: Giovanni Gritti, originario di Ponteranica, scomparso all’inizio di quest’anno a 95 anni e Pietro Prussiani, di Bergamo, classe 1918 e capo campanaro in Sant’Alessandro in Colonna. Eugenio Casati si è impegnato a trasmettere quest’arte particolare al figlio Marco e al nipote 16enne Andrea, che suonano in occasione delle principali solennità liturgiche.

E' con loro che, la domenica delle Palme di ogni anno, Eugenio suona le cinque campane in bronzo dalla chiesa di San Rocco, la maggiore del peso di 700 chili, le altre via via più piccole, fino ai 200 chili. «Possono essere suonate in due modi – spiega – Nel concerto “a distesa” le campane sono libere e vengono suonate tirando le corde: ad ogni tensione corrispondono due suoni , uno in andata e uno al ritorno. Nel metodo chiamato “d’allegrezza” le campane vengono invece bloccate e suonate percuotendo con i pugni una tastiera, a cui sono collegati con un sistema di corde i batacchi, ottenendo così suoni in rapida successione». «In passato ci siamo esibiti in diverse parrocchie cittadine e il numero dei componenti del gruppo poteva variare, ma eravamo e siamo tutt’ora molto uniti. Suoniamo solo ed esclusivamente in modo manuale e la quasi totalità del repertorio viene tramandato a memoria; sono rari gli spartiti scritti».

Un patrimonio che oggi rischia di andare perso a causa del progredire dei tempi e dell’evoluzione delle tecnologie che, a partire dagli anni ’70, hanno iniziato a sostituirsi alla perizia dei maestri campanari. «I rintocchi delle campane hanno da sempre scandito il ritmo della vita di ognuno di noi – conclude Pietro Migliorini, grande studioso ed esperto di campane e storico collaboratore al suono del gruppo insieme all’amico Angelo Bortolotti – Mi ritengo fortunato perchè ho avuto la possibilità di conoscere e appassionarmi a questa tradizione, iniziando a suonare insieme a questi campanari nella Basilica di Santa Maria Maggiore a cavallo del 1962-1963, anni in cui loro già si esibivano».