Bossetti rilancia la pista-vendetta. Ma il padre di Yara l’ha già esclusa

Brembate, l’interrogatorio del muratore indiziato che rievoca le ipotesi fatte nei primi giorni successivi alla scomparsa di Yara: una ritorsione legata a presunti rapporti tra la ditta Lopav e Fulvio Gambirasio di Gabriele Moroni

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Bergamo, 14 luglio 2014 - Mattinata del 19 giugno. Carcere di via Gleno a Bergamo. Massimo Giuseppe Bossetti è davanti al gip Vincenza Maccora per l’udienza di convalida del fermo. Il muratore di Mapello è in cella da lunedì 16, sotto l’accusa terribile di avere rapito, ferito, seviziato, lasciato morire Yara Gambirasio. Giura sui figli di non averla né vista né incontrata. Non ha mai messo piede nel centro sportivo di Brembate. Solo una volta ha incrociato il padre della ragazza, nel cantiere di Palazzago dove lavorava.

Ha seguito la vicenda, ne ha parlava con i colleghi. «Era all’ordine del giorno - dice Bossetti al gip -. In cantiere dicevano tutti che Yara era stata uccisa per una vendetta contro il padre. Una vendetta, si diceva, legata a presunti rapporti tra la ditta Lopav e il signor Gambirasio che fa il geometra nell’edilizia».

Poco prima della metà di dicembre del 2010. Yara era scomparsa il 26 novembre. Per qualche ora, l’ombra di una vendetta contro Fulvio Gambirasio si era proiettata sulla vicenda. Una ipotesi nata dalla scoperta che l’azienda per cui lavorava Fulvio aveva avuto rapporti con quella di due fratelli bergamaschi, arrestati in ottobre con l’accusa di riciclaggio legato al traffico di droga. Questa ditta era impegnata nel cantiere Mapello, al centro della prima tornata di indagini sulla sparizione di Yara. Il loro padre (finito in manette in Spagna) sarebbe stato legato a un clan camorristico.

La voce che il padre di Yara avesse testimoniato nel procedimento a carico dei due fratelli era stata smentita quasi subito. Il giorno dopo era intervenuto Fulvio Gambirasio: «Non abbiamo nemici, non ne abbiamo mai avuti, non abbiamo niente da nascondere». «Non ho mai avuto - aveva aggiunto - liti particolari, neanche sul lavoro. Il mio lavoro è ben impostato e quando si verificano problemi, intervengo per risolverli come farebbe chiunque altro».

Nessuna dichiarazione ufficiale dai difensori di Bossetti, che mantengono la linea del silenzio stampa. Informalmente, replicano che le parole del loro assistito si spiegano semplicemente con il fatto che l’ipotesi della ritorsione era stata ampiamente pubblicizzata e che Bossetti e i suoi colleghi l’avevano appresa dai giornali. Il Dna dell’arrestato sugli indumenti di Yara. Come è stato possibile? «È impossibile» replica Bossetti. Poi aggiunge: «Se venisse dimostrato senza nessun dubbio che il Dna è mio, bisognerà capire perché è stato trovato lì. Io non lo so».

Sapeva di essere figlio naturale di Giuseppe Guerinoni? «Assolutamente no, mai conosciuto Guerinoni. Sempre saputo di essere figlio di Giovanni ed Ester».