Almè, imprenditore prigioniero in Cina per un cavillo

Il calvario di Valentino Sonzogni, tradito da un dirigente

Valentino Sonzogni (De Pascale)

Valentino Sonzogni (De Pascale)

Almè (Bergamo) - 1 agosto 2018 - Se hai un problema che la burocrazia deve risolvere, ti conviene cambiare problema. Dice più o meno così una delle tante “regole” della Legge di Murphy, il celebre compendio umoristico di Arthur Bloch sul pessimismo esistenziale. L’aforisma calza perfettamente anche la storia dell’imprenditore bergamasco Valentino Sonzogni. Da otto mesi è bloccato in Cina per una storia di evasione fiscale e il bello, si fa per dire, è che ad impedirne il ritorno a casa non è un’accusa formulata dalle autorità cinesi ma un cavillo burocratico nascosto tra le pieghe della legge che regola la fiscalità in Cina. Lo abbiamo raggiunto al telefono a Wanning, città di mezzo milione di abitanti sull’isola di Hainan, il posto più a sud della Cina, che non riesce a lasciare nonostante una squadra di sei avvocati, un’interrogazione parlamentare e l’interessamento dell’ambasciata italiana. La prima domanda è scontata: come sta? «Certi giorni ho fiducia. Altri sono disperato e penso di dover passare qui il resto dei miei giorni». La seconda, ascoltata questa risposta, viene da sola: perché si trova da otto mesi bloccato in Cina? «Nel 2005 io e mio cugino abbiamo fondato un’azienda per aprire dei negozi di abbigliamento in Cina – spiega il cinquantenne originario di Almè –. Con noi c’erano anche dei soci cinesi a cui decidemmo di affidare la parte operativa, mentre a me fu intestata la rappresentanza legale. Gli affari non andarono bene e nel 2008 decidemmo di chiudere». Finita qui? Per niente, perché nove anni dopo Sonzogni fa un’amara scoperta. «A fine 2017 vado in Cina per una breve vacanza – racconta ancora – e al momento dell’imbarco, per il volo di ritorno, all’aeroporto di Pechino vengo bloccato dalla polizia di frontiera. Mi dicono che ho un problema con il fisco cinese e che non posso partire». Era il 2 dicembre 2017. Da allora è iniziato un calvario. «A mia insaputa il general manager cinese – riprende Valentino Sonzogno – aveva ceduto in gestione la società ad un suo conoscente. Questa persona aveva messo in piedi un giro di fatture false in modo da disporre di crediti d’imposta». Una presunta frode insomma, e anche di grandi dimensioni visto che le auorità cinesi hanno accertato un’evasione di 4 milioni di euro. «L’agenzia delle imposte ha capito che io non ho avuto nessun ruolo in questa storia – spiega Sonzogni – tanto che non è stata formulata nessuna accusa nei miei confronti. Però c’è un articolo della normativa cinese che prevede il divieto di espatrio per coloro che hanno pendenze con il fisco. Come uscirne? Le autorità vogliono che la società venga dichiarata fallita e liquidata – spiega l’imprenditore – ma non si può fare tecnicamente perché i libri contabili sono spariti. Ho fatto anche domanda di rimpatrio per motivi umanitari per assistere mio padre malato, ma non c’è stato niente da fare. Qui ho solo spese e vivo in un appartamento messo a disposizione dal mio avvocato». Per venerdì parenti e amici hanno organizzato una manifestazione davanti al consolato cinese di Milano. «Lo Stato italiano deve fare qualcosa – conclude Sonzogni – perché credo che la diplomazia sia l’unica soluzione».