Mapello (Bergamo), 19 giugno 2014 Incredulo. Mentre racconta le domeniche passate al bar con il cognato Massimo Giuseppe, a parlare di Yara. Agostino Comi, 44 anni, titolare di una azienda di posa di casseforti e infissi, è il fratello di Marita, la moglie del muratore accusato dell’omicidio di Yara. È anche coetaneo di Bossetti. Risponde per qualche minuto al telefono, mentre in carcere il cognato è davanti agli inquirenti.

Le pare possibile?
«Assolutamente no. Per me è come se fosse un fratello. È un uomo mite. Non sarebbe in grado di fare male a una mosca. Ha paura anche della propria ombra. Non è capace di reagire su niente».

Le è capitato di parlare con lui di Yara?
La domenica, al bar. Era lui a chiedere: ‘Allora, di Yara si sa qualcosa? Questo assassino quando lo prendono?’».

Ha notato in lui dei cambiamenti?
«Sto continuando a ripensare a questi anni, da quando è successo il fatto di Yara. Non ho visto in lui nessun cambiamento, né con la sorella né con i figli. L’ho sempre visto sereno. Lo ripeto. Tante e tante volte, quando eravamo al bar con gli amici a prendere un caffè, Massimo si domandava per quale motivo non avessero ancora arrestato il colpevole, e quale faccia potesse avere l’assassino ».

E adesso cosa pensa?
«Sono certo che tirerà fuori tutta la rabbia che ha dentro per questa storia che gli ha rovinato la vita. Appena ritroverà la forza, li convincerà che è innocente».

È persuaso che suo cognato sia estraneo?
«Dico solo che è un uomo che riuscirebbe a lavorare 48 ore su 48. Quando non lavora, passa il suo tempo con i tre figli. Non è vero neppure che sia un cattolico devotissimo, come lo hanno dipinto i giornali. È cattolico ».

Incredulità. È un mantra. Un «non ci credo » ricorrente. Fra amici, conoscenti, vicini. Dice uno dei vicini: «Non siamo amici, però fra noi c’è un rapporto tranquillo di buon vicinato. Lunedì pomeriggio, quando sono arrivato a casa verso le sei e mezzo, i miei figli mi hanno detto della presenza dei carabinieri e che la moglie di Bossetti piangeva. Altri vicini hanno detto che era stato trovato l’assassino di Yara. Poco dopo ho sentito dalla radio che l’assassino era originario di Clusone e ho pensato subito a lui perché sapevo che è nativo di lì. Cosa posso dire?È un tipo tranquillo, piuttosto riservato. Mi auguro per lui che non sia vero. Non lo avrei mai immaginato capace di compiere un’azione del genere».

Anche Massimo Giuseppe Bossetti è incredulo, lunedì pomeriggio alle cinque, quando i carabinieri si materializzano nel cantiere di via Marie Curie a Seriate, dove lavora da un mese e mezzo. I militari dichiarano di essere lì per un controllo sul lavoro nero di extracomunitari, ma puntano decisi su un italiano. Neppure una domanda. Sono certi di chi si tratti. Le manette. «Che sta succedendo? Perché mi portano via?», chiede Bossetti guardandosi attorno.

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