Bergamo, 17 giugno 2014 - Asserragliati in un bunker. Una pattuglia dei carabinieri e un’auto della polizia locale presidiano via Rampinelli 48. Qui abitano i genitori di Yara Gambirasio. Il presunto assassino della loro figlia è sotto torchio nella caserma del comando provinciale dei carabinieri di Bergamo, ma la famiglia Gambirasio preferisce il silenzio. Nessuna esternazione, nessuna voglia di commenti affrettati. Piove a Brembate Sopra. Nel tardo pomeriggio si sparge la voce del fermo di un uomo per l’omicidio della ragazzina, scomparsa il 26 ottobre 2010 all’uscita del centro sportivo del paese e ritrovata cadavere tre mesi dopo, in un campo incolto di Chignolo d’Isola. Da queste parti il silenzio resta la parola d’ordine. Ancora troppo forte il dolore di papà Fulvio e mamma Maura per lanciarsi in commenti di qualsiasi tipo.

L’esperienza insegna. Dopo la vicenda di Mohammed Fikri, il muratore marocchino prima arrestato e poi rilasciato in quanto estraneo alla vicenda, qui si va con i piedi di piombo. La speranza è che il giallo sulla morte di Yara sia davvero risolto una volta per tutte, eppure non c’è un’anima viva in paese che voglia sbilanciarsi. Il sindaco di Brembate Sopra, Diego Locatelli, pronuncia poche ma significative parole: «Se è vero ciò che abbiamo letto e sentito, siamo davvero felici, era un atto dovuto alla famiglia e a tutta la comunità». Questo il commento del primo cittadino, che alla notizia del fermo del presunto responsabile dell’omicidio di Yara, aggiunge: «Da quando la ragazza è scomparsa da casa, a Brembate, e da quando è stata trovata uccisa a Chignolo, attendevamo questo momento. Ringrazio tutti quelli che hanno messo tante risorse in campo per arrivare a questo risultato». Il sindaco di Brembate Sopra si ferma qui.

I vicini di casa di Yara non si fanno vedere. Nella strada di Brembate Sopra è un continuo viavai di cronisti, ma di residenti e vicini di casa della famiglia Gambirasio non c’è traccia. Qualche parola se la lascia scappare il parroco di Brembate Sopra, don Corinno Scotti, che pensa al presunto assassino: «Spero che ora non prevalgano sentimenti di vendetta nei suoi confronti».

Poi una riflessione: «Questa comunità in questi anni è stata molto matura. Pur impaurita e ferita, non ha ceduto a sentimenti di vendetta. Il papà di Yara mi ha detto che se lei è morta è perché noi diventassimo più buoni. Ora che facciamo? Invochiamo la pena di morte? No, certo. A me interessa che Yara sia stata e continui a essere un dono per la nostra comunità». Don Corinno tiene a precisare: «Proprio quindici giorni fa abbiamo inaugurato in oratorio, con i fratelli Natan e Gioele, un monumento in ricordo di Yara che ho voluto chiamare stele di luce. Comunque andrà a finire questa dolorosa vicenda — aggiunge — è così che lei deve essere ricordata: come un dono, un dono prezioso».

di Gerardo Fiorillo

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