Bossetti e il Dna sul corpo di Yara: «Perdo spesso sangue dal naso»

Il racconto: avevo macchiato un attrezzo, con quello l’hanno uccisa. "Amo mia moglie, amo i miei figli. Sono una persona metodica, non è vero che vado a ballare di nascosto" di Gabriele Moroni

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Bergamo, 9 luglio 2014 - «Voglio uscire innocente di qui. Senza scorciatoie». È sereno Massimo Giuseppe Bossetti, non tradisce emozioni, mentre per quasi tre ore risponde al sostituto procuratore Letizia Ruggeri che ha chiesto di incontrare. Per la prima volta, dopo due scene assolutamente mute, il muratore di 43 anni accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio parla al pm, alla presenza di due ufficiali del Ros di Brescia.

«Su di me giornali e televisioni stanno raccontando solo cose false. Non ho una doppia vita. Amo mia moglie e i miei tre figli. Non posso avere fatto quello di cui mi accusano. Mio figlio più grande ha la stessa età che aveva Yara. Io Yara non l’ho mai conosciuta». Parla per due ore e mezzo, offre con convinzione le «sue» verità, alternative a quelli che sono i capisaldi dell’accusa.

Il suo Dna trovato su Yara? «È da quando sono in carcere che penso a come il mio Dna può essere finito sulla povera Yara. Posso spiegarlo. Chi mi conosce sa che perdo spesso sangue dal naso. È capitato che mi macchiassi e che sporcassi anche i miei attrezzi da lavoro. Già una volta è successo che mi venisse rubato qualche attrezzo. E poi non escludo neppure di essermi ferito sul lavoro».

Yara scompare la sera del 26 novembre del 2010. Perché il cellulare di Bossetti, come quello di Yara, aggancia alle 17.45 la cella di via Natta a Mapello e poi rimane muto fino alle 7.34 del mattino dopo? «Non è vero che quella sera ho spento volontariamente il mio cellulare. Era un apparecchio vecchio, la batteria era difettosa e si scaricava di frequente. Appena sono arrivato a casa, l’ho messo in carica, non ho fatto e non ho ricevuto telefonate».

Difende a lungo l’immagine di un uomo tutto casa e lavoro, come se volesse reintegrarla dopo la raffica di indiscrezioni giornalistiche. Il suo è quasi uno sfogo. «Non ho una doppia vita. M’importa solo di mia moglie e dei miei figli. Sono una persona metodica, faccio una vita riservata, giusto una uscita il sabato per acquistare qualche vestito per i bambini. Non è vero che vado a ballare in un locale di nascosto da mia moglie. Sulle lampade che andavo a fare in un centro estetico posso avere detto delle inesattezze, ma solamente perché non mi sembrava una cosa importante».

Soddisfatti i difensori Claudio Salvagni e Silvia Gazzetti quando, alle 13.30, escono dal cancello di via Gleno sotto un’autentica bomba d’acqua. «Il signor Bossetti ha risposto a tutte le domande, a tutte le contestazioni. Ha ribadito con forza la sua innocenza. È sereno, determinato a continuare su questa strada che sa essere durissina». I legali annunciano che chiederanno la ripetizione del test del Dna.