Vent’anni fa la pazza corsa di Mazzone sotto la curva atalantina che lo insultava

Il sor Carletto, all'epoca allenatore del Brescia, era scattato subito dopo il pareggio al novantesimo contro la Dea firmato da Roberto Baggio

La corsa di Mazzone sotto la curva atalantina

La corsa di Mazzone sotto la curva atalantina

Bergamo, 30 settembre 2021 - Vent’anni da quella pazza e rabbiosa corsa del sor Carletto Mazzone, all'epoca allenatore del Brtescia, sotto la curva degli ultrà atalantini. Premessa: nel calcio di oggi, delle telecamere ovunque, dei miliardi, dei diritti televisivi, dei procuratori avidi, degli uffici stampa onnipresenti, non potrebbe più accadere. Quella corsa folle, quel personaggio ruspante, quel clima, fanno parte di un calcio che non esiste più. Sono trascorsi 20 anni da quel 30 settembre 2001, ospiti dello stadio Rigamonti di Brescia, sotto lo spicchio affollato dai tifosi dell’Atalanta. Un gesto clamoroso, epico, di un personaggio sanguigno e indimenticabile.

L’immagine storica del derby tra Atalanta e Brescia, della rivalità, del campanilismo, resterà per chissà quanto ancora. Romano ‘de Roma’, lontano anni luce dalla quotidianità della città dei Mille e da quella della Leonessa, protagonista un po’ per caso di quell’episodio che ha diviso i tifosi nelle discussioni al bar a lungo. Un episodio che ancora oggi fa discutere e appassionare e che anche a Bergamo, smaltita l’arrabbiatura immediata, con il tempo è stato rivalutato. Una cosa del genere, a parti opposte, avrebbe trasformato quel mister in un eroe da celebrare per sempre.

Quel giorno le parti e i colori erano invertiti. Era il 30 settembre 2001, derby al Rigamonti. Brescia in vantaggio con Roberto Baggio, Dea che ribalta nel primo tempo con Sala, Doni e Comandini andando sul 3-1. Resta un tempo da giocare ma nella ripresa il tempo trascorre e sembra fatta per l’Atalanta sul 3-1. Partono pesanti cori di sfottò dagli ultras atalantini rivolti a Mazzone, da sempre inviso perché è romano e romanista (e quella corsa forse aveva sognato di farla sotto la curva degli odiati laziali) e da un anno e mezzo allena pure i rivali del Brescia. 

Penultima tappa di una lunga carriera in provincia, con le pagine più belle scritte tra Catanzaro, Ascoli, Lecce, Cagliari, prima delle grandi occasioni mancate alla Roma e al Napoli, negli anni ’90, dove Mazzone raccolse poco. Confermando la sua etichetta di allenatore buono solo per la salvezza. Da confinare in provincia. Al Brescia era arrivato dopo lo storico passaggio a Perugia con lo scudetto tolto alla Juventus sotto il diluvio all’ultima giornata. Quel pomeriggio di sole al Rigamonti sor Carletto ha 64 anni, è sul viale del tramonto (smetterà quattro anni dopo a Bologna). Dirige la squadra da bordo campo, in tuta. Non è uno da giacca e cravatta, non ha il look rampante dei suoi colleghi di oggi. Sfoggia la pelata e la pancetta, è una persona avviata alla pensione. Ma il sor Carletto, una carriera da mediano con i piedi non tanto buoni, una vita in panchina a soffrire, è anche uno cui ribolle il sangue. Si prende gli sfottò, incassa gli insulti scrollando le spalle, finché qualcuno offende sua madre (ricordiamo la reazione di Gian Piero Gasperini a Firenze a gennaio 2020 in Coppa Italia?), toccando un tasto dolente, per lui che l’ha persa da ragazzo. Il sangue gli va alla testa, e ci sta, e quando Baggio dimezza il punteggio lui si rivolge alla curva atalantina.

"Mo’ se pareggiamo vengo da voi…". Succede, al novantesimo: il divin Codino piazza su punizione la tripletta: 3-3. E il sor Carletto mantiene la parola rivolta agli ultras. Scatta dalla panchina, inseguito da due dirigenti del Brescia che provano a placarne l’ira funesta. Corre, da invasato, corre come un matto, nessuno lo può trattenere, pare il cinematografico Oronzo Canà di Lino Banfi (nel sequel, qualche anno dopo Mazzone interpreterà se stesso in una scena). Difficile, anche per chi ama i colori atalantini, non provare empatia per quell’uomo e per la sua corsa folle, per quel pugno brandito. Un gesto che ha segnato indelebilmente l’uomo, l’allenatore e la sua carriera. Mazzone resterà per sempre quello della corsa sotto la curva nerazzurra. Non si pentirà mai e se tornasse indietro lo rifarebbe cento volte. Perché il sor Carletto, che oggi ha 84 anni e si gode la pensione nell’adottiva Ascoli, dove è rimasto a vivere, di cuore, attributi e sentimenti ne aveva. E in quella pazza corsa li ha messi tutti.