2009-06-20
BERGAMO
LE CASE CHIUSE come si sa, furono... chiuse nel 1958, con la Legge Merlin. A Bergamo ufficialmente erano due: una in Città Alta, in via San Lorenzo (in edifici oggi abitazioni private); laltra era nella zona di Borgo Palazzo, in via Vivaldi, in un villino dove oggi cè un centro anziani. «Ma nel periodo sotto la dominazione veneta, oggetto del mio studio - spiega Tosca Rossi - la casa di tolleranza, gestita dal Comune e data in appalto con tanto di gare, era nella vicinia di San Michele allArco, dietro lomonima chiesa sconsacrata, in un fabbricato oggi scomparso. E poi cera anche la cosidetta Ca del Pecàt, un edificio tuttora esistente, vicino allepiscopio».
E le... libere professioniste?
«Cerano anche quelle. Esercitavano in casa. Anche nei borghi. Per cui lofferta copriva tutto il territorio cittadino. Erano tollerate anche se, a volte, finivano dritte nei postriboli pubblici. E poi cera via Boccola, un luogo di malaffare dove molte adescavano. Un ghetto, quasi. Sconsigliato alle dame e alle loro ancelle. Le prostitute lo frequentavano anche perchè solo lì, alla fonte della Boccola, potevano lavarsi. Lacqua pubblica era loro proibita».
Il rischio per le ragazze di finire nel giro era quindi rilevante?
«I Luoghi del soccorso e i Luoghi Pii delle Dimesse servivano proprie per aiutare orfane e vedove a non finire in strada. Cera anche luoghi che ospitavano le ragazze di brutto aspetto, che nessuno voleva maritare»
La Bergamo veneta tra 400 e 700 era dunque una città molto colorita..
«Infatti, Bergamo era una città di frontiera della Repubblica di San Marco, dunque era frequentata da contrabbandieri, viandanti, soldati. I bordelli quindi avevano buona clientela. Basta guardare la durata degli appalti: solo cinque anni!»
Conosciamo anche i nomi di queste prostitute?
«Più che altro conosciamo i soprannomi. Gli Estimi delle Vicinie del 1498-1499 citano, per esempio, Semperbona, Maria dicta Bonina: i commenti sono superflui. Alcune di loro venivano definite casalenghe»
Su questo argomento lei ha svolto uno studio molto meticoloso: sulla base di quali documenti?
«Cronache coeve come quelle di Donato Calvi, Gianbattista Angelini, Celestino Colleoni e altri, che però pochissini storici hanno analizzato sotto questo aspetto».
Oltre a quella dei bordelli, lei si è occupata anche della storia dei luoghi di pena.
«Un intreccio di morte, dolore e morbosità. Dalle carceri medievali sotto la Torre civica fino a quelle di santAgata. Vi sono inoltre i luoghi di esecuzione capitale: nel Medioevo sulla pubblica piazza, in epoca napoleonica sugli spalti della Fara, tramite limpiccagione. Nei miei tour mostro anche il percorso che i condannati a morte facevano dal carcere di san Francesco sino alla Fara».
Le visite guidate da lei organizzate incontrano il favore del pubblico?
«Sì, devo dire che hanno avuto un buon successo. Infatti ne riproporrò unaltra il prossimo 5 settembre. Bergamo, in realtà, presenta molti aspetti interessanti che sono rimasti sconosciuti ai più. In unaltra mia ricerca, dal titolo Urbs picta, dimostro ad esempio come un tempo Bergamo fosse una città dalle facciate tutte dipinte»
Come nasce questa sua passione per la storia cosiddetta minore?
«Fin da piccola mi ha sempre interessato laspetto misterioso, inedito, delle cose. E poi sono assolutamente convinta che non si debba mai censurarsi nella proposta turistica. Daltronde, in diverse città dEuropa questo è la norma».
Giuseppe Purcaro
BERGAMO
LE CASE CHIUSE come si sa, furono... chiuse nel 1958, con la Legge Merlin. A Bergamo ufficialmente erano due: una in Città Alta, in via San Lorenzo (in edifici oggi abitazioni private); laltra era nella zona di Borgo Palazzo, in via Vivaldi, in un villino dove oggi cè un centro anziani. «Ma nel periodo sotto la dominazione veneta, oggetto del mio studio - spiega Tosca Rossi - la casa di tolleranza, gestita dal Comune e data in appalto con tanto di gare, era nella vicinia di San Michele allArco, dietro lomonima chiesa sconsacrata, in un fabbricato oggi scomparso. E poi cera anche la cosidetta Ca del Pecàt, un edificio tuttora esistente, vicino allepiscopio».
E le... libere professioniste?
«Cerano anche quelle. Esercitavano in casa. Anche nei borghi. Per cui lofferta copriva tutto il territorio cittadino. Erano tollerate anche se, a volte, finivano dritte nei postriboli pubblici. E poi cera via Boccola, un luogo di malaffare dove molte adescavano. Un ghetto, quasi. Sconsigliato alle dame e alle loro ancelle. Le prostitute lo frequentavano anche perchè solo lì, alla fonte della Boccola, potevano lavarsi. Lacqua pubblica era loro proibita».
Il rischio per le ragazze di finire nel giro era quindi rilevante?
«I Luoghi del soccorso e i Luoghi Pii delle Dimesse servivano proprie per aiutare orfane e vedove a non finire in strada. Cera anche luoghi che ospitavano le ragazze di brutto aspetto, che nessuno voleva maritare»
La Bergamo veneta tra 400 e 700 era dunque una città molto colorita..
«Infatti, Bergamo era una città di frontiera della Repubblica di San Marco, dunque era frequentata da contrabbandieri, viandanti, soldati. I bordelli quindi avevano buona clientela. Basta guardare la durata degli appalti: solo cinque anni!»
Conosciamo anche i nomi di queste prostitute?
«Più che altro conosciamo i soprannomi. Gli Estimi delle Vicinie del 1498-1499 citano, per esempio, Semperbona, Maria dicta Bonina: i commenti sono superflui. Alcune di loro venivano definite casalenghe»
Su questo argomento lei ha svolto uno studio molto meticoloso: sulla base di quali documenti?
«Cronache coeve come quelle di Donato Calvi, Gianbattista Angelini, Celestino Colleoni e altri, che però pochissini storici hanno analizzato sotto questo aspetto».
Oltre a quella dei bordelli, lei si è occupata anche della storia dei luoghi di pena.
«Un intreccio di morte, dolore e morbosità. Dalle carceri medievali sotto la Torre civica fino a quelle di santAgata. Vi sono inoltre i luoghi di esecuzione capitale: nel Medioevo sulla pubblica piazza, in epoca napoleonica sugli spalti della Fara, tramite limpiccagione. Nei miei tour mostro anche il percorso che i condannati a morte facevano dal carcere di san Francesco sino alla Fara».
Le visite guidate da lei organizzate incontrano il favore del pubblico?
«Sì, devo dire che hanno avuto un buon successo. Infatti ne riproporrò unaltra il prossimo 5 settembre. Bergamo, in realtà, presenta molti aspetti interessanti che sono rimasti sconosciuti ai più. In unaltra mia ricerca, dal titolo Urbs picta, dimostro ad esempio come un tempo Bergamo fosse una città dalle facciate tutte dipinte»
Come nasce questa sua passione per la storia cosiddetta minore?
«Fin da piccola mi ha sempre interessato laspetto misterioso, inedito, delle cose. E poi sono assolutamente convinta che non si debba mai censurarsi nella proposta turistica. Daltronde, in diverse città dEuropa questo è la norma».
Giuseppe Purcaro
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