2009-05-19
di ALESSANDRO BORELLI
— ROVETTA (Bergamo) —
LA LAPIDE è vicino al cimitero, seminascosta dalle foglie di un albero. Per Rovetta, paese della Valle Seriana di poco più di 3.300 abitanti a una quarantina di chilometri da Bergamo, rappresenta una ferita ancora aperta: ricorda, infatti, i 43 militi della Legione Tagliamento della Repubblica Sociale Italiana di stanza al Passo della Presolana che, il 28 aprile 1945, vennero fucilati da un gruppo di partigiani. Della vicenda, divenuta celebre come l’«eccidio di Rovetta», si è parlato molto (anche nel libro «Il sangue dei vinti» di Giampaolo Pansa), ma senza mai arrivare a ricostruire con esattezza che cosa accadde in quelle ore drammatiche e in quei frangenti così terribili.
Ci hanno provato, all’inizio d’aprile, anche i ragazzi dell’Istituto comprensivo Fantoni che, in una serie di servizi realizzati per il Campionato di giornalismo poi pubblicati da Il Giorno, hanno cercato di ripercorrere i fatti, affidandosi anche al racconto di alcuni testimoni.
SONO COSÌ tornati al pettine i nodi di una tormentata vicenda, intorno alla quale sono nate polemiche dai toni accesi, vicenda che ha visto il susseguirsi di testimonianze spesso contraddittorie e che fu oggetto anche di un procedimento giudiziario, come ricordano, in una lettera inviata agli stessi ragazzi, i responsabili dell’Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea di Bergamo: «Sapete - chiedono - che esiste un processo contro i partigiani per questo episodio? E’ durato tanti anni, tra il 1945 e il 1951: durante quel processo sono state raccolte molte testimonianze, ma tutto si è chiuso senza che si fosse arrivati a stabilire chi avesse dato l’ordine di fucilazione e con un’assoluzione completa dei partigiani coinvolti. Tra questi c’era anche Giuseppe Bepi Lanfranchi, che voi invece accusate di essere stato il mandante dell’eccidio. Siete così sicuri di potervi mettere nei panni di giudici e trovare la soluzione così facilmente?».
AGLI STUDENTI ha scritto pure la figlia del Bepi, Daniela Lanfranchi, che ha sottolineato come su questa grave e complessa vicenda esista una seria e attendibile documentazione storica pubblicata dallo stesso Isrec di Bergamo (compreso il libro uscito l’anno scorso di Angelo Bendotti ed Elisabetta Ruffini «Gli ultimi fuochi - 28 aprile 1945 a Rovetta», edizioni Il filo di Arianna). Secondo tali documenti, un solo testimone si è preso esplicitamente la piena responsabilità della decisione di fucilare i militi repubblichini: «Era un ufficiale alleato - rivelano i ricercatori dell’Isrec - , il suo nome di battaglia era Mojcano, si chiamava Paolo Poduje e abitava a Milano. Un nostro ricercatore, Angelo Bendotti, l’ha cercato per anni ed è riuscito a trovarlo poco prima della sua morte raccogliendo una lunga testimonianza in cui, tra le altre cose, racconta la fucilazione e ricorda senza mezzi termini di averne dato l’ordine».
Sempre nella lettera scritta agli studenti di Rovetta, l’Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea lancia anche un ammonimento, indirizzato soprattutto ai docenti: «Lasciar credere ai ragazzi che da parte partigiana non ci sia nessun documento che possa aiutare a ricostruire quell’episodio, trasformare in verità storica la chiacchiera per trovare un capro espiatorio, non è insegnare storia, ma usare i ragazzi e strumentalmente implicarli in dibattiti mediatici che non hanno nulla a che vedere con lo studio».