La violenza? Inventata. "Lei portava i pantaloni"

La sentenza a Milano. Critiche dagli avvocati di MARIO CONSANI

Per il giudice l’abbigliamento scelto e la versione data non sono compatibili

Per il giudice l’abbigliamento scelto e la versione data non sono compatibili

Milano, 4 febbraio 2016 - «Lei portava i pantaloni invernali, è poco verosimile l’abuso subito». Sono varie le ragioni per cui la presunta vittima non è stata ritenuta credibile dai giudici, che hanno assolto l’imputato di violenza sessuale. Tra queste, una dinamica della vicenda (rivelata dalla ragazza) che non sarebbe compatibile col fatto che indossava dei «pantaloni invernali». Ma anche l’avere lei denunciato l’abuso cinque mesi dopo, l’aver finto di dormire quando si è accorta che lui la toccava nelle parti intime. Fa discutere una sentenza pronunciata dai giudici della nona sezione penale del tribunale (presidente Anna Introini, a latere Simone Luerti e Piera Gasparini) al centro di aspre critiche da parte degli avvocati milanesi che hanno partecipato a un seminario per formare legali specializzati nella tutela di vittime di violenze sessuali. Stando alla versione della donna, l’uomo, un suo conoscente, l’avrebbe accompagnata a casa perché lei era ubriaca dopo la serata trascorsa assieme e poi si sarebbe fermato a dormire nel letto matrimoniale. Al risveglio lei, che era vestita come la sera prima ed era ancora intontita per l’alcol, si sarebbe sentita toccare attraverso i pantaloni nelle parti intime.

«Lui- spiega - aveva un braccio sotto il mio collo e con quella mano mi toccava il seno e con l’altra dentro le mutande». «Per quanto concerne l’abbigliamento - scrivono i giudici nelle motivazioni - non è stato spiegato come la mano dell’imputato possa essersi infilata sotto le mutande di una donna sdraiata a letto e vestita con abiti invernali, per di più in pantaloni». «Coi pantaloni - insistono - la dinamica appare ancora meno verosimile: se il braccio dell’aggressore avvolge da sotto il collo della donna fino a toccare con la mano il seno, l’altro braccio non può raggiungere la zona genitale che da sotto, salvo ipotizzare una difficile contorsione. La mano potrebbe così infilarsi sotto le mutande, se la donna non indossasse nulla oppure solo una gonna».

A minare la credibilità della donna non c’è, per il tribunale, solo la dinamica del presunto abuso così come raccontata ma anche altri, molteplici elementi. Per i giudici non è credibile nemmeno che lei abbia mantenuto un “comportamento glaciale e inspiegabilmente razionale” decidendo di non muoversi e “fingere un lento risveglio” mentre lui la palpeggiava. Inoltre, viene sottolineato il fatto che abbia taciuto ai giudici due presunti abusi subiti in passato, svelati agli inquirenti da una sua amica. «Ma dal percorso psicologico seguito per un anno dalla mia cliente - contesta l’avvocato di parte civile che preferisce tenere l’anonimato per proteggere la cliente - non è emerso alcun suo desiderio di rivalsa né la tendenza a confondere piani di realtà e fantasia, come confermato dalla terapeuta sentita in aula». Il pm aveva chiesto la condanna dell’imputato a un anno e dieci mesi di carcere. La donna, precisa il legale che l’ha seguita nel processo, «non farà ricorso perché è rimasta traumatizzata dalla vicenda».