Delitto Macchi, dalle lesioni ossee la prova della brutale violenza

In programma un vertice tecnico in Procura tra magistrati, periti e consulenti. La difesa chiede di separare i campioni riferibili alla vittima e quelli che non la riguarda

Lidia Macchi, 21anni quando morì

Lidia Macchi, 21anni quando morì

Il punto sugli esami già fatti ed eventualmente ancora da compiere sui poveri resti di Lidia Macchi verrà fatto in un summit che si terrà oggi in tribunale a Varese. A riunirsi, con il gip Anna Giorgetti, saranno il sostituto procuratore generale Carmen Manfredda ma anche i periti, legali e i consulenti di parte. Lo scorso maggio il gip Giorgetti ha nominato tre nuovi periti che si sono affiancati all’antropologa forense Cristina Cattaneo, già incaricata il 15 marzo, per rintracciare eventuali tracce biologiche e confrontarle con il Dna di Stefano Binda, ovvero l’unico accusato per la morte della giovane studentessa varesina. Il nome più squillante tra periti e consulenti è quello del tenente colonnello Giampietro Lago, comandante del Ris di Parma, lo stesso che si è occupato delle analisi nel caso della morte di Yara Gambirasio e portato alla condanna all’ergastolo di Massimo Bossetti. Con Lago, hanno ricevuto l’incarico la genetista Elena Pilli e la tossicologa Marina Caligara.

Varese, 8 luglio 2016 - Capelli e formazioni pilifere di Stefano Binda verranno prelevati e confrontati con i tanti capelli di Lidia Macchi trovati nella bara e con altri eventuali reperti. Ancora un tentativo alla ricerca della verità sulla morte della studentessa varesina di Comunione e Liberazione trucidata con 29 coltellate, nella zona di Cittiglio, la sera del 5 gennaio del 1987 e su Sefano Binda, il 48enne in carcere dallo scorso 15 gennaio con l’accusa di essere il suo assassino.  I difensori di Binda, Sergio Martelli e Roberto Pasella, non si sono opposti o meglio hanno avanzato una opposizione di tipo “tecnico”, metodologico, affidato a una relazione di Andrea Piccinini responsabile del Laboratorio di genetica forense dell’Università di Milano, uno dei consulenti della Procura di Bergamo per il caso di Yara Gambirasio. L’assunto era che prima di procedere a comparazioni con Binda si sarebbe dovuto separare quanto era riferibile alla vittina e quanto no. «Ma non ci opporemo di sicuro ai prelievi», dice l’avvocato Martelli. Una ciocca di capelli dell’indagato era già venuto in possesso degli inquirenti. Binda l’aveva tagliata, forse stanco di portare i capelli lunghi, e riposta in un libro, nella sua casa di Brebbia. Era stata sequestrata per poi restituirla alla madre e alla sorella. Ora è stata nuovamente sequestrata.

L’antropologa forense Cristina Cattaneo prosegue nella ricognizione sui resti scheletrici di Lidia, esumati dal cimitero di Casbeno. Sono state riscontrate lesioni ossee, a testimonianza di quanto fossero state violente e profonde alcune coltellate. Le unghie sono apparse ben conservate. Per le esequie Lidia venne vestita con un abito da sposa. I lunghi guanti da cerimonia hanno preservato i margini ungueali. Gli accertamenti tossicologici sono negativi. Non sarebbero state trovate tracce genetiche che riconducono a Stefano Binda sulle cinque-sei lame dissotterrate nel Parco Mantegazza a Varese, che gli investigatori avevano giudicato «interessanti». Il parco era stato introdotto nelle indagini sull’omicidio Macchi dalle dichiarazioni di Patrizia Bianchi, vero perno per la svolta della vicenda. La donna aveva riconosciuto la grafia di Binda nella lettera “In morte di un’amica”, recapitata alla famiglia Macchi il giorno dei funerali di Lidia. Alla squadra mobile di Varese, la Bianchi aveva raccontato di avere telefonato a Stefano due giorni dopo il delitto per informarlo che Lidia era stata uccisa e non si trovava l’arma del delitto. La reazione del giovane era stata inspiegabilmente violenta. Qualche sera dopo Stefano aveva chiesto all’amico se conoscesse l’indirizzo dei Macchi. Erano usciti sull’auto guidata da Binda. Si erano fermati al Parco Mantegazza dove Binda si era inoltrato da solo portando con sé un sacchetto che aveva raccolto sul fondo della vettura. Al ritorno non lo aveva più.