Luvinate: nell'archivio dell'artista "cartoline dal passato"

di GIUSEPPE DI MATTEO L'autore del murales che riproduce una delle opere più celebri di Caravaggio alla scoperta dei dipinti realizzati dal nonno, colono in Etiopia deportato in un campo di prigionia inglese

Andrea Ravo Mattoni con uno dei quadri realizzati dal nonno

Andrea Ravo Mattoni con uno dei quadri realizzati dal nonno

Luvinate (Varese), 3 maggio 2016 -  Nell'album di famiglia di Andrea Ravo Mattoni (artista 35enne varesino, autore del murales che raffigura la "Cattura di Cristo" di Caravaggio) è custodito un frammento importante della storia italiana raccontato dal pennello del nonno Giovanni Italo, pittore e illustratore delle figurine Liebig e Lavazza. Colonnello e cartografo dell’esercito in Africa Orientale negli anni ’30, ha vissuto l’epoca del colonialismo fascista in Etiopia, prima della disfatta durante la Seconda Guerra Mondiale a opera degli inglesi, cui seguì la deportazione di migliaia di ufficiali e civili nei campi di concentramento in Kenya. E proprio lì il nostro decise di affidare alla pittura il racconto della sua vicenda.

Suo nonno le ha mai parlato della guerra in Etiopia?  

"Morì nel 1974, prima che io nascessi. Ho saputo qualcosa in seguito, dai racconti di mia nonna ma, soprattutto, ammirando i quadri appesi alle pareti, che lui aveva lasciato proprio perché i suoi discendenti sapessero. E, devo dire, è stato emozionante imparare parte della storia italiana in modo così originale, al di là dei manuali. Infatti, dell’Africa ho sempre avuto una percezione un po’ diversa rispetto a quello che studiavo".

Ovvero?  

"I miei nonni erano stati coloni in Etiopia, e avevano vissuto una vita agiata prima che la guerra spazzasse via tutto. Mio nonno, poi, amava molto viaggiare. Tra i suoi dipinti più belli ce n’è uno che raffigura una donna del popolo Masai, che vive tra Kenya e Tanzania. In altri quadri sono rappresentate anche le danze dei Mau-Mau e le leggende dell’Uebi Scebeli. Aveva l’approccio tipico del ricercatore etnografico e ritraeva in modo fedele usi e costumi dei territori che visitava".

E proprio in Kenya sarebbe stato deportato dopo la sconfitta italiana…

"Probabilmente all’inizio del ’43, perché in molti dipinti sono riportati luoghi e date precise. Per esempio, è certo che tra il ’43 e il ’45 mio nonno fu prigioniero a Pow Camp, Londiani ed Eldoret, in Kenya".

Com’era la vita nei campi di concentramento inglesi? 

"Stando ai dipinti e ai racconti di mia nonna, si può dire che si viveva in condizioni migliori rispetto ai lager nazisti. In molti quadri, realizzati per lo più su vecchie tavolozze con la tecnica della pittura a olio, si vedono uomini passeggiare, anche se circondati da filo spinato. Gli inglesi, comunque, davano ai prigionieri la possibilità di coltivare un orto e di dedicarsi ad altre attività. Ma spesso accadevano anche episodi cruenti. Uno di questi è rappresentato nel quadro “Il tribunale di Burghuret”, dove si vede un uomo pronto a frustare un prigioniero sotto la supervisione degli inglesi. In un altro disegno mio nonno racconta anche il tentativo di alcuni ufficiali di costruire una radio rudimentale per cercare di ottenere informazioni sulla guerra".

In che anno suo nonno riuscì a tornare in Italia? 

"Nel 1947, dopo due anni di viaggio. E continuò a dedicarsi alla pittura, raccontando ciò che gli era successo soprattutto con le illustrazioni Lavazza dedicate al Duca D’Aosta, con il quale condivise parte del suo destino di prigioniero in Africa Orientale. Certo, quell’esperienza lo segnò profondamente. In un altro dipinto, per esempio, è raffigurato il sogno di un soldato devastato dall’orrore della guerra".