Delitto Lidia Macchi, in aula il giudice che distrusse i vetrini: "Non mi sento colpevole"

Ottavio d'Agostino spiega cosa avvenne nel 2000

Lidia Macchi (Newpress)

Lidia Macchi (Newpress)

Varese, 19 settembre 2017 - Che fine hanno fatto i vetrini e le provette che ne sono state ricavate e che potrebbero avere trattenuto residui del liquido seminale dell’assassino di Lidia Macchi? Torna e si ripropone con forza un interrogativo plurimo al processo, in Corte d’Assise a Varese, a Stefano Binda, imputato dell’omicidio della studentessa di Comunione e Liberazione. Domande che scaturiscono dalla deposizione di Vincenzo Pascali, direttore dell’istituto di medicina legale dell’Università Cattolica di Roma. 

Questa mattina, in aula, ha testimoniato l'ex gip Ottavio d’Agostino, che nel 2000 autorizzò (parrebbe a sua insaputa) la distruzione dei 13 vetrini contenenti Dna dell’assassino prelevato 30 anni dal corpo di Lidia. D'Agostino ha detto che "nell'ufficio del corpo dei reati non ci si poteva muovere tanti oggetti erano presenti e così era stato chiesto al responsabile, il dottor Ciccia, di avere un elenco dei corpi da poter distruggere". E ha sottolineato: "Mai avrei autorizzato la distruzione di un corpo di reato di procedimenti ancora in corso". Poi, ancora: "Quando mi tornò indietro il foglio con l'elenco degli oggetti distrutti, vidi che accanto alla voce vetrini c'era il nome Lidia Macchia. Immediatamente scrissi al sostituto procuratore Abate, titolare dell'inchiesta, per informarlo di quanto accaduto ma non ricevetti alcuna risposta". E ha aggiunto: "Non mi sento colpevole, non potevo sapere in numeri dei corpi dei reato e a quale procedimento corrispondessero".

L'ex gip ha anche introdotto una novità, un capello biondo che il pm Abate conservava nell'armadio del suo ufficio con altri corpi di reato riguardanti la vicenda Macchi. Immediato l'intervento dell'avvocato Pizzi, che ha fatto sapere che "dagli atti non risulta questo capello". Il teste ha subito ribattuto che "il dottor Abate pensava di incriminare subito un sacerdote di Varese che era biondo e quel capello poteva essere la prova provata, ma io ho molto insistito perchè il dottor Abate eseguisse il dna sul capello" . Subito dopo è intervenuto il procuratore generale Gemma Gualdi, che sostiene l'accusa, e ha fatto scorrere alcune slide con l'elenco dei corpi di reato distrutti e ha fatto notare che l'indicazione Lidia Macchi era presente già nel primo elenco degli oggetti da distruggere e non dopo.

ha collaborato GABRIELE MORONI