Omicidio Macchi, i miei sguardi con Lidia prima che incontrasse il suo assassino

Parla l’infermiera che per ultima ha visto viva la studentessa

Maria Ortogni

Maria Ortogni

Varese, 11 novembre 2016 - È stata l’ultima persona, a parte l’assassino, a vedere viva Lidia Macchi la sera del 5 gennaio 1987, prima che la studentessa varesina venisse trucidata con ventinove coltellate alla località Sass Pinì, a pochi passi da Cittiglio. Quel pomeriggio Lidia è stata all’ospedale di Cittiglio, in visita all’amica Paola Bonari, ferita in un incidente stradale. Maria Ortogni, oggi sessantenne, era infermiera in ospedale. A distanza di trent’anni conserva un ricordo nitido e preciso della ragazza vista per due volte in reparto.

«Ero infermiera professionale al reparto chirurgia uomini. All’epoca abitavo a Rancio Valcuvia. Il primario, il dottor Guffanti, mi ha detto che era ricoverata una ragazza del mio paese, Paola Bonari, che aveva avuto un incidente stradale sulla strada fra Rancio e Cavona. Sono andata alla chirurgia donne, camera 5, mi pare. C’era questa ragazza seduta sul letto, che parlava con la ricoverata. Una bella ragazza, con i capelli ricci, mossi, mi ricordo un maglione con la lana di vari colori e forse un foulard. Con lei non ho parlato. Paola Bonari mi ha raccontato che aveva fatto un incidente in quella stradina e che aveva rotto un braccio. Mi sono fermata due minuti, le ho detto ‘Tanti auguri’, sono tornata in reparto. Più tardi stavo preparando le flebo nella sala medicazioni. Era tardi, erano già accese le luci notturne. La ragazza che era seduta sul letto è passata per uscire. Si è girata a guardarmi. L’ho guardata. Non ricordo se mi abbia salutato, non posso escluderlo ma non lo ricordo. Erano le 20.30. Facevo il turno 14-22. All’epoca portavamo le auto dentro l’ospedale. Al momento di uscire non ho notato niente di particolare sul piazzale. Sono stata a casa due giorni. Quando sono rientrata ero di turno al pronto soccorso. Ho saputo che era sparita quella ragazza che era stata lì».

La testimonianza di Maria Ortogni è importante, perfettamente sovapponibile, per i tempi, a quella di Liliana Maccario, all’epoca 58 anni, di Cittiglio, che si trova in ospedale per assistere la suocera. Attorno alle 20 si affaccia al balcone della camera che dà sul piazzale dell’ospedale. Nota l’arrivo di un’automobile bianca di grossa cilindrata e di vecchio tipo. La vettura si ferma, rimane con i fari accesi, non ne discende nessuno. I fari si spengono dopo due-tre minuti. Liliana Maccario si ritira. Torna ad affacciarsi dopo una decina di minuti. L’auto bianca è ancora lì. Scorge anche una Panda che imbocca il piazzale e anziché proseguire dritta verso la statale svolta a sinistra costeggiando il muro dell’ospedale. Procede molto lentamente, quasi a passo d’uomo. Alle 20.45 Liliana Maccario lascia l’ospedale in compagnia del marito: la grossa autovettura bianca è ancora parcheggiata. Non c’è più alle 23.30, quando Giorgio Macchi arriva all’ospedale di Cittiglio in cerca della figlia che non è rientrata. Quel pomeriggio Lidia è uscita alla guida di una Panda. Stefano Binda, l’uomo in carcere accusato del suo omicidio, fra il mese di luglio del 1986 e l’ottobre dell’88, era in possesso di una Fiat 131 bianca.