C’è un bimbo sordo da aiutare: il paese impara a parlare a gesti

Maccagno adotta la lingua dei segni: lezioni per tutti

Lingua dei segni

Lingua dei segni

Maccagno con Pino e Veddasca (Varese), 12 marzo 2017 - Un bimbo di sette anni non udente e una comunità motivata a non isolarlo. Così il Comune riconosce la lingua dei segni. E, fatto ancora più importante, il giovedì pomeriggio i compagni di scuola del piccolo andranno a scuola di Lis, la Lingua italiana dei segni. Presto inoltre le lezioni saranno aperte all’intera comunità. Succede a Maccagno, Varese. «Il nostro obiettivo – spiega il sindaco Fabio Passera – è coinvolgere il maggior numero di persone. Il traguardo è chiaro: il piccolo non deve sentirsi isolato e deve poter comunicare con coetanei ed adulti». La mozione che promette di far diventare Maccagno un modello per l’Italia è stata approvata venerdì in consiglio comunale. Ora la comunità della Valveddasca riconosce la Lis come lingua. Il Comune si impegna a rimuovere ogni ostacolo al suo utilizzo.

Costanza Guerri, la madre del bimbo, ha raccontato quel che ha vissuto all’assemblea comunale. «La mia esperienza come mamma di un bambino sordo mi ha fatto percorrere strade innumerevoli, conoscere persone a volte sbagliate; oppure, come qui a Maccagno con Pino e Veddasca, persone che mi hanno aiutata, hanno dimostrato solidarietà e volontà di accompagnare me e la mia famiglia in questo difficile ma non impossibile percorso, quello nel mondo della sordità in mezzo agli udenti. Per me la Lis è stata un’ancora di salvezza». E ancora: «Non essendomi avvicinata subito alla lingua dei segni, per cause indipendenti dalla mia volontà, ho fatto perdere anni importantissimi a mio figlio. Questo a causa della saccenza e la scarsa informazione di chi considera la sordità come una malattia da debellare come la peste, curabile solo chirurgicamente».

A Maccagno la differenza l’hanno fatta prima di tutto i bambini. «Il bimbo ha frequentato quattro anni d’asilo – spiega il sindaco – e subito è apparso chiaro che dovevamo intervenire, insieme alla famiglia, affinchè potesse comunicare con insegnanti e compagni». È stato affiancato all’asilo da un’interprete, una traduttrice che facesse da tramite tra le insegnanti, i compagni e il bambino. Poi sono stati i compagni d’asilo del piccolo a dare l’idea: «I bambini, spontaneamente, hanno iniziato a imparare qualche segno per comunicare con lui – spiega Passera – e alla fine ci sono riusciti creando un linguaggio magari non perfetto ma che funziona. Siamo noi adulti che vediamo in ogni cosa un problema insormontabile. I compagni non hanno visto un bimbo diverso, semplicemente un piccolo che comunicava in un modo tutto suo. E si sono adattati». Oggi il bimbo è in prima elementare, ha tre professionisti che lo seguono, nella sua classe c’è una lampadina che si accende allo squillare della campanella in modo cheanche lui possa seguire i ritmi dei compagni, che hanno imparato piccoli ma fondamentali accorgimenti per parlargli. Lui ha ritirato una pagella di «tutto rispetto – conclude Passera –, il segnale che apprende con profitto e che il sistema funziona».