Delitto Macchi, Patrizia Binda: "Quella è la grafia di mio fratello"

La posizione dell'indagato per l'omicidio di quasi 30 anni fa si aggrava dopo la frase pronunciata dalla sorella e raccolta in un'intercettazione

Stefano Binda

Stefano Binda

Varese, 29 novembre 2016 - "Ma quella è la scrittura di Stefano". A parlare è Patrizia Binda, 50 anni, la sorella del 49enne di Brebbia in carcere da quasi un anno con l’accusa di aver ucciso Lidia Macchi il 5 gennaio 1987. Un’intercettazione ambientale finita negli atti dell’inchiesta coordinata dal sostituto pg di Milano, Carmen Manfredda, e condotta da agenti scelti della Mobile di Varese.

Patrizia Binda si trova davanti alla televisione e pronuncia le parole guardando l’immagine della lettera “In morte di un’amica”, missiva anonima recapitata a casa Macchi il 10 gennaio 1987, giorno dei funerali di Lidia, e considerata dagli inquirenti, sin da allora, come scritta o dall’assassino o da qualcuno che del delitto sapeva molto. Per la Procura generale fu Binda a scrivere la lettera. Agli inquirenti lo disse la super testimone Patrizia Bianchi (amica di Binda e di Lidia all’epoca dei fatti), anche lei riconoscendo tra quelle parole viste in tv la grafia dell’indagato e dando impulso a un’inchiesta ferma da 27 anni.

Stefano Binda ha sempre negato: mai scritto "In morte di un’amica. Ora arriva quest’intercettazione, che assume un certo peso. La difesa di Binda la pensa diversamente. "Quella frase - commenta l’avvocato Sergio Martelli - non prova nulla. È evidente che quando un familiare viene arrestato, con un’accusa gravissima, qualunque cosa diventa sospetta".