"Lidia, facci capire chi ti ha uccisa". La madre: soffro da trent’anni

Omicidio Macchi, va in aula l’accusato: un ex compagno di scuola

Paola Bettoni Macchi, madre di Lidia (Newpress)

Paola Bettoni Macchi, madre di Lidia (Newpress)

Varese, 17 dicembre 2016 - "A Lidia dico sempre: adesso che siete in due, tu e papà, datemi una mano". È stanca ma non si sente vinta, dopo trent’anni trascorsi a combattere alla ricerca della verità, anche quando a risponderle era il silenzio. Anni di preghiere, di pianti silenziosi. Paola Bettoni è la madre di Lidia Macchi, la studentessa di Comunione e Liberazione massacrata con 29 coltellate la sera del 5 gennaio del 1987, alla località Sass Pinin, nelle vicinanze dell’ospedale di Cittiglio. Lidia ne era uscita dopo la visita a un’amica ricoverata. Lunedì davanti al gup di Varese l’udienza preliminare per l’uomo accusato di essere il suo assassino: Stefano Binda, 49 anni, di Brebbia, amico, compagno di liceo di Lidia, come lei militante di Comunione e Liberazione. Per lui il sostituto procuratore generale Carmen Manfredda ha chiesto il rinvio a giudizio per omicidio volontario aggravato. Binda è l’amico che si presentò per le condoglianze e che Paola e il marito Giorgio invitarono a cena. Paola preparò una torta di mele.

Signora Macchi, sarà in tribunale?

«Penso di sì. Vedrò. Devo parlare con i miei figli e con il nostro avvocato. L’altra volta, quando c’è stato l’incidente probatorio, ho sofferto tanto. Dalle nove del mattino a mezzanotte, a un certo punto non ce l’ho fatta più. Sono scoppiata a piangere. Si trattava di mia figlia. Ho resistito finché ho potuto. Per una mamma mi sembra che sia una reazione normale».

Oggi in cosa spera?

«Nella giustizia per mia figlia. Spero che tutto finisca. Il nostro amico don Giussani mi diceva che la mia ferita si rimarginerà solo in Cielo e che finché vivrò sarà così. È successo a me. Da trent’anni ne porto tutte le conseguenze. Ma credo che anche quelli che lo hanno fatto, non abbiano avuto una vita migliore della mia».

Pensa che Binda sia colpevole?

«Non posso dirlo. Non ho la documentazione che hanno gli inquirenti. Certo, se è stato lui a scrivere quella lettera, ‘In morte di un’amica’ (recapitata alla famiglia il giorno dei funerali di Lidia e attribuita all’arrestato, ndr)... Colpevole o innocente non ha vissuto bene neanche lui. Una volta ho detto che preferivo essere la mamma di Lidia Macchi piuttosto che quella del suo assassino. Lo confermo. Non posso trovare altre parole. Il dolore, c’è, rimane. La storia non si è conclusa».

Se avesse la possibilità di parlare a sua figlia cosa vorrebbe dirle?

«Le direi di darsi da fare e di farci capire chi è stato. Le direi: guarda che la mamma sono trent’anni che soffre e che le rimane ancora poco. Adesso siete su in due, tu e papà. Aiutatemi, aiutateci. Un animatore della clinica Molina, dov’era ricoverato mio marito, ha fatto un bellissimo disegno. C’è una croce. Lidia e suo padre s’incontrano. ‘Ciao Lidia’. ‘Ciao papi’. ‘Ciao Lidia, dove eravamo rimasti?’».

Il suo desiderio più grande, oggi?

«Continuo a pregare per avere un po’ di serenità. Vorrei morire in pace».

Paola Macchi e i figli Stefania e Alberto si costituiranno parte civile con l’avvocato Daniele Pizzi.