Omicidio Lidia Macchi, arrestato un amico. L'accusa: la stuprò e poi la punì uccidendola

Arrestato Stefano Binda. Il 48enne deve rispondere di omicidio aggravato dalla crudeltà. Svolta nel caso della studentessa di Varese trucidata con 29 coltellate e trovata morta il 5 gennaio 1987 in un bosco alla periferia di Cittiglio di GABRIELE MORONI

Lidia Macchi aveva 21 anni quando fu uccisa

Lidia Macchi aveva 21 anni quando fu uccisa

Varese, 15 gennaio 2016 - Un arresto per l'omicidio di Lidia Macchi, la studentessa varesina trovata il 7 gennaio 1987, in un bosco alla periferia di Cittiglio (Varese), trucidata con ventinove coltellate. L'arrestato è Stefano Binda, che vive a Brebbia. L'ordinanza è stata firmata dal gip di Varese, Anna Giorgetti, e richiesta dal sostituto procuratore generale Carmen Manfredda, che nell'ottobre 2013 ha riaperto le indagini sul caso Macchi. L'arrestato ha 48 anni, un anno meno della ragazza. Non erano compagni ma hanno frequentato lo stesso liceo, inoltre frequentavano negli stessi anni i gruppi e partecipavano ai "Raggi" di Comunione e Liberazione. Binda vive con la madre, grazie alla pensione della donna. E' laureato in Filosofia e viene descritto come una persona coltissima. Stando a quanto riferito, Binda avrebbe alle spalle un passato di eroina che lo ha portato in comunità dal 1992 al 1995. 

LA VIOLENZA - Stando a quanto emerso l'uomo avrebbe costretto la vittima a subire un rapporto sessuale e, secondo il capo d'imputazione, l'avrebbe poi "punita" proprio per questo: per avere compiuto un atto contario al credo religioso. Avrebbe iniziato a colpire Lidia in auto con un coltello, infierendo soprattutto sulla schiena, e avrebbe continuato a colpire la ragazza mentre tentava di fuggire, ferendola a una gamba. Deve rispondere di omicidio aggravato dalla crudeltà, dai motivi abietti e futili, dalla condizione di "minorata difesa" della ragazza (donna, aggredita in un'ora notturna e in luogo isolato). I due si erano incontrati al parcheggio dell'ospedale. L'arresto è stato eseguito questa mattina verso le 6.30 dalla squadra mobile di Varese. Prima di essere condotto in carcere, l'arrestato è stato portato in questura a Varese. Secondo quanto scritto dal gip di Varese Anna Giorgetti nell'ordinanza di custodia, Stefano Binda, già subito dopo l'omicidio, si premurò "di darsi un alibi" sostenendo "di aver preso parte ad una vacanza organizzata a Pragelato nel periodo 1-6 gennaio" di quell'anno e, dunque, di essere stato lontano da Cittiglio. Tuttavia, "la verità è che Binda non è affatto andato in montagna o forse è tornato un giorno prima". Binda ha spiegato che anche un amico del presunto assassino, sentito come teste, "si preoccupa di offrirgli un alibi sicuro" anche se "sa perfettamente" che "quello stesso 5 gennaio" l'uomo era a Cittiglio e "lo ha visto". 

La copia della lettera intitolata 'In morte di un'amica'LA LETTERA - L'uomo è fortemente sospettato dell'omicidio. In particolare, è accusato di essere l'autore della prosa anonima recapitata, in una busta, in casa della famiglia Macchi il 9 gennaio dell'87, giorno dei funerali di Lidia nella chiesa di San Vittore a Varese. Lo scritto era intitolato "In morte di un'amica". Si tratta di una sorta di poesia composta da otto strofe e con diversi riferimenti religiosi (anche un non correttissimo verso in latino), alla crocifissione e all'uccisione della ragazza. "Perché io - si legge - perché tu, perché le stelle sono così belle ... in una notte di gelo la morte urla, grida d'orrore e un corpo offeso, velo di tempio strappato, giace ... Consummatum est ... non è colpa mia, è la morte che ha voluto la sua vittoria. Io l'amavo, perdonatemi". Nella lettera anonima la vittima è definita "Agnello senza macchia", "agnello purificato che pieghi il capo timoroso e docile", agnello "sacrificale che nulla strepiti, non un lamento". La missiva si conclude con le frasi: "Nel nome di Lui, di colui che ci ha preceduto, crocifissa, sospesa a due travi. Nel nome del Padre sia la tua volontà". Al termine dello scritto quello che pareva il disegno di un'ostia. Nel corso della perquisizione nella sua abitazione sarebbe stato trovato materiale cartaceo che riportava a quello usato per lo scritto e frasi, anche in inglese, che gli inquirenti giudicano significative. Come un un foglio trovato dentro un'agenda, rinvenuta a casa di Binda, con le parole: "Stefano è un barbaro assassino". La "grafia" del foglio - si apprendende dall'ordinanza di custodia cautelare - "risulta ascrivibile allo stesso Binda".  Il bosco dove è stato trovato il corpo di Lidia Macchi

PICCOLOMO ESCE DI SCENA - Con questo arresto esce di scena Giuseppe Piccolomo, l'ex imbianchino di Ispra finora l'unico indagato del "caso" Macchi, oltre a scontare l'ergastolo per l'omicidio delle "mani mozzate", la morte della pensionata Carla Molinari, uccisa nel novembre del 2009 durante una rapina nella sua abitazione a Cocquio Trevisago e mutilata delle mani. Piccolomo si è sempre proclamato estraneo all'omicidio della studentessa. Piccolomo era già stato scagionato dal test del dna. Il suo codice genetico non coincideva con quello estratto dalla "linguetta" della busta arrivata alla famiglia Macchi e neppure con una traccia rimasta sul bavero della giacca della vittima. La comparazione era stata possibile anche se Piccolomo si era rifiutato di sottoporsi al tampone salivare adducendo la singolare spiegazione di essersi convertito all'islamismo.

Nella foto d'archivio, Lidia Macchi, la studentessa scomparsa e poi trovata morta,LA VITTIMA - Lidia Macchi avrebbe compiuto 21 anni il 28 febbraio del 1987. Viveva a Varese, nel quartiere Casbeno, con i genitori Giorgio e Paola, e i fratelli Stefania, di 18 anni, e Alberto, di 10 mesi. Era iscritta al secondo anno di giurisprudenza alla Cattolica di Milano. Per gli studi si era trasferita in un appartamento a Milano con quattro amiche. Era capo scout e militante di Comunione e Liberazione, in corrispondenza epistolare con don Luigi Giussani. Era uscita di casa nel primo pomeriggio del 5 gennaio con la promessa di rincasare per la cena. Era diretta all'ospedale di Cittiglio dov'era ricoverata la sua amica e compagna di appartamento Paola Bonari. Era uscita dall'ospedale verso le 20.30 e si era avviata verso la sua Panda verde, parcheggiata nel posteggio.  Allarmati per la sparizione, gli amici di Lidia si erano divisi in squadre e avevano iniziato le ricerche. Il corpo di Lidia Macchi era stato ritrovato attorno alle dieci mattino del 7 gennaio, in un bosco alla periferia di Cittiglio, su un'altura chiamata Sass Pinì, a poche centinaia di metri dall'ospedale. Era disteso in una stradina deserta e sterrata, accanto alla Panda. Martoriato con ventinove coltellate.

"PERICOLO DI FUGA" - Stefano Binda era «consapevole di essere indagato» nelle nuove indagini sull'omicidio della studentessa Lidia Macchi e «per tale motivo» aveva ripreso «contatti con alcune figure del suo 'passato'» per «prepararsi ad un possibile sviluppo» dell'inchiesta. Lo scrive il gip di Varese Anna Giorgetti nell'indicare le esigenze cautelari a carico dell'uomo, tra cui il pericolo di fuga, quello di inquinamento probatorio e anche quello di reiterazione del reato. Il giudice in un passaggio dell'ordinanza elenca le «prove» a carico di Binda: lui e Lidia si conoscevano «molto bene» ed erano «amici»; nel parcheggio dell'ospedale dove viene vista la macchina della ragazza quella sera c'era soltanto un'altra auto, una «Fiat 131 bianca», lo stesso modello che possedeva Binda all'epoca; l'uomo per la sua «frequentazione di tossicodipendenti» conosceva bene «le zone boschive» dove è stato trovato il cadavere. E ancora: Binda, scrive il giudice, «non ha un alibi» e il suo amico del cuore sul punto «ha mentito». Il giudice, infine, spiega anche che «non pare irrilevante una dichiarazione resa da don Fabio Baroncini, all'epoca responsabile di Gioventù Studentesca» e «punto di riferimento per tanti giovani», il quale già all'epoca si era fatto l'idea che «l'autore dell'omicidio fosse un ragazzo, perché solo un compagno poteva sapere che Lidia sarebbe andata a trovare la Bonari in ospedale».

di GABRIELE MORONI