Lidia Macchi, il pm Abate accusato di negligenza. Primo round dell’autodifesa al Csm

La toga di Varese «omise iscrizioni di indagati e vigilanza sui reperti»

Agostino Abate, ex pm titolare dell’inchiesta sull’omicidio di Lidia Macchi

Agostino Abate, ex pm titolare dell’inchiesta sull’omicidio di Lidia Macchi

Varese, 17 gennaio 2017 - Si difende da solo davanti alla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, non ha nominato un difensore di fiducia né ha accettato un legale d’ufficio. Agostino Abate, 59 anni, originario di Cava dei Tirreni, storico sostituto procuratore di Varese, trasferito come giudice a Como e già sanzionato dal Csm con la perdita di due mesi di anzianità per l’inchiesta sulla morte di Giuseppe Uva, affronta la sua difficile partita. Lungo e pesantissimo l’atto d’incolpazione, legato alle indagini sull’omicidio di Lidia Macchi, la studentessa varesina massacrata con 29 coltellate la sera del 5 gennaio 1987. Secondo l’accusa, Abate, titolare dell’inchiesta dall’inizio, «ha omesso o ritardato ingiustificatamente il compimento di atti e l’adozione delle determinazioni che gli incombevano». Con «una serie di comportamenti improntati a grave violazione di legge ed inescusabile negligenza, ha arrecato indebito vantaggio all’ignoto autore del reato in questione, affievolendosi la possibilità di identificazione (con corrispettivo ingiusto danno per le parti offese dal medesimo reato)». Avrebbe «omesso qualsivoglia iscrizione nel registro degli indagati, nonostante taluni soggetti siano stati destinatari di comunicazione giudiziaria e sottoposti a prelievo ed accertamenti scientifici sul Dna; qualsivoglia vigilanza dei reperti in sequestro, così concorrendo alla indebita distruzione di parte di essi, sebbene di fondamentale importanza per l’identificazione dei profili genetici dell’autore del reato». In particolare, «ha omesso ogni controllo su reperti depositati presso l’ufficio Gip di Varese», che ne ha poi disposto la distruzione: vestiti e biancheria della vittima, reperti biologici trovati sul cadavere. Sono spariti undici vetrini che contenevano liquido seminale e due frammenti dei pantaloni di Lidia, custoditi in una scatola. Altri reperti sarebbero stati conservati dal pm “in modo del tutto anomalo” per circa ventisei anni nella cassaforte del suo ufficio. Infine, Abate avrebbe trasmesso il fascicolo, chiesto dalla procura generale di Milano, con un ritardo di cinque mesi e solo dopo “ripetuti solleciti” e la presentazione dell’istanza di avocazione delle indagini da parte della famiglia Macchi.

Nel primo round al Csm Abate ottiene che il procedimento venga riunito ad altri quattro a suo carico: comportamenti scorretti nei confronti del capo della procura e di un collega, adozione di provvedimenti privi di motivazione, ritardo nel compimento di atti, gravi violazioni di legge determinate da “ignoranza e negligenza inescusabile”. Il 23 febbraio si proseguirà con i testimoni richiesti dall’ex pm: il capo della sua segreteria, un funzionario di polizia, un avvocato del foro di Varese, un finanziere.