Delitto Lidia Macchi, i cento “non ricordo” dell’amico di Binda

Don Sotgiu interrogato dal pm: "Mai cercato di dargli un alibi"

Stefano Binda a processo per il delitto di Lidia Macchi (Newpress)

Stefano Binda a processo per il delitto di Lidia Macchi (Newpress)

Varese, 22 novembre 2017 - «Quella poesia non fu scritta da Stefano Binda. Non è il suo stile». È don Giuseppe Sotgiu, fraterno amico di Stefano Binda, arrestato il 15 gennaio 2016 con l’accusa di aver assassinato nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987 Lidia Macchi, studentessa varesina di soli 20 anni, a spezzare una lancia in favore di quello che fu un compagno inseparabile (poi perso di vista) durante il liceo.

Il sacerdote lo ha fatto durante l’incidente probatorio del dicembre 2016 quando il pg Carmen Manfredda, che ha ridato impulso alle indagini sull’omicidio consumato 30 anni fa, ha voluto cristallizzare alcune e testimonianze chiave anticipando una parte del processo che oggi vede Binda davanti alla corte d’assise presieduta da Orazio Muscato. La poesia è “In morte di un’amica”, lettera anonima recapitata a casa Macchi il 10 gennaio dell’87, giorno delle esequie di Lidia, che secondo gli inquirenti fu scritta dall’assassino o da qualcuno che del delitto sapeva molto. Per don Sotgiu quello «non era lo stile di Binda. Lui scriveva poesie ermetiche, asciutte. Questa è prosopopea». Sotgiu arriva anche a dire che la grafia «non assomiglia a quella di Stefano». Nel lungo verbale, oltre 80 pagine di trascrizione, Sotgiu cerca di ricostruire anche i suoi spostamenti in quei giorni. In particolare una serie di film visti con alcuni amici tra i quali Giorgio Bertoldi, oggi monsignore, a casa del quale, insieme ai familiari, il prete avrebbe trascorso la serata del 5 gennaio, quando Lidia, andata all’ospedale di Cittiglio per visitare l’amica Paola Bonari, sparì e fu uccisa. Don Sotgiu prima parla di un film visto forse con Binda, siamo al 13 febbraio 1987 quando l’allora seminarista fu interrogato in questura. Quindi cambia versione, dicendo di trovarsi con Bertoldi, il quale conferma e di non aver mai visto Binda in quei giorni. Dal primo al 5 gennaio di Binda, che ha sempre detto di trovarsi in vacanza a Pragelato mentre Lidia veniva uccisa, nessuno ricorda la presenza a Cittiglio o a Varese. Incalzato dal pm, con velato riferimento al fatto che forse don Sotgiu potrebbe aver cercato di trovare un alibi a Binda, il prelato replica: «Nel 1987 fui tra i quattro indagati per l’omicidio. Binda non fu mai considerato. Per quale ragione se l’indagato ero io avrei dovuto cambiare versione per procurare un alibi a Stefano?». L'interrogatorio è punteggiato da molti non ricordo. Troppi, per il gip Anna Giorgetti che rimprovera don Sotgiu: «Sono più di 100. Eppure lei non è un uomo anziano. Le si chiede uno sforzo di memoria fattibile». L’avvisaglia che il teste, con la sua memoria lacunosa, è sulla strada della testimonianza reticente. E infatti al termine dell’interrogatorio gli atti sono stati inviati alla procura di Varese per verificare l’ipotesi di reato a carico del religioso.