La traccia di Dna maschile sul corpo di Lidia non porterà alla verità

Varese, è scarsa. Comparazione genetica impossibile

Lidia Macchi

Lidia Macchi

Varese, 26 ottobre 2017 - Una traccia ma insufficiente per aiutare la difficile, dolorosa ricerca della verità sulla morte di Lidia Macchi. Un microgrammo di Dna maschile (con ogni probabilità di natura spermatica) è stato trovato sul corpo della studentessa, esumato il 22 marzo dello scorso anno nel cimitero di Casbeno, a Varese. Il giudice delle indagini preliminari Anna Giorgetti aveva affidato l’esame, con la formula dell’incidente probatorio, all’anatomo patologo Cristina Cattaneo, all’Istituto di medicina legale di Milano, e al Ris di Parma.

Le speranze riposte in questa scoperta sono però cadute: la traccia non è in quantità tale consentire un raffronto e una comparazione genetica. Quella svolta alla sezione “biologia” del Ris è stata un’attività particolarmente complessa e delicata, alla ricerca di spermatozoi che sarebbero potuti rimanere in un pezzettino di tessuto (una parte dell’imene), conservato in un blocchetto di paraffina. Il reperto era stato prelevato nel corso dell’autopsia dal medico legale Mario Tavani e conservato prima a Varese e in seguito alla Medicina legale di Pavia. Sui resti di Lidia sono stati isolati anche circa 6mila reperti piliferi. Due di questi non appartengono né alla vittima né a persone della cerchia familiare. Una volta conclusi gli esami, si procederà alla comparazione tra i due reperti e il capello prelevato a suo tempo a Stefano Binda, l’amico e compagno di liceo di Lidia, come lei militante di Comunione e Liberazione, che viene processato in Corte d’Assise a Varese per il suo omicidio. Un percorso richiesto dal professor Andrea Piccinini, responsabile del laboratorio di genetica forense della Statale di Milano, consulente die difensori di Binda, l’avvocato Patrizia Esposito e l’avvocato Sergio Martelli. Nell’udienza del 17 ottobre hanno giurato e ricevuto i quesiti i periti incaricati di analizzare i quattro vetrini ritrovati nell’anta di un armadio della Medicina legale di Varese. Una scoperta resa possibile dai tenaci accertamenti condotti dal sostituto procuratore generale Gemma Gualdi, che sostiene l’accusa nel processo a Binda. Con Cristina Cattaneo sono stati nominati il colonnello Giampietro Lago, comandante del Ris di Parma, il maggiore del Ris Alberto Marino, Elena Pilli, del dipartimento di biologia evoluzionistica dell’università di Firenze. Dovranno stabilire se i reperti nei vetrini appartengono a Lidia, verificare se è presente materiale organico estraneo, comparare il materiale organico con il codice genetico di Stefano Binda. Il dibattimento in Assise riprenderà domani con altri testi della difesa e verranno anche riascoltate la grafologhe Susanna Contessini, consulente dell’accusa e Cinzia Altieri, esperta della difesa.