Varese, benzina e gomme a scrocco: a processo il primogenito Bossi

Il figlio del Senatur ancora accusato di debiti insoluti: l'anno scorso era stato condannato in primo grado a Milano per gioielli e un Rolex acquistati e mai pagati

Riccardo Bossi in un’immagine del processo a Milano

Riccardo Bossi in un’immagine del processo a Milano

Varese, 28 settembre 2017 - Dai 7mila euro dell’impianto di illuminazione di casa ai 45 per la benzina: sfilano in aula tutti i “debiti” insoluti di Riccardo Bossi, primogenito del Senatùr. Il processo che lo vede imputato per truffa e insolvenza fraudolenta entra nel vivo: ieri mattina ha testimoniato davanti ai giudici del tribunale di Varese proprio il benzinaio che ha fatto 45 euro di rifornimento all’imputato, vedendosi salutare da Bossi jr con un bel sorriso e un «grazie, tornerò a pagare», salvo poi finire per non ricevere nemmeno una monetina. Il titolare del distributore non ha avuto alcuna esitazione. Del resto il fatto è «così semplice», ha detto, «si è fatto fare benzina e non ha pagato». Prova ne è, per l’accusa, l’assoluta assenza di qualsivoglia ricevuta che possa attestare come Bossi jr quel debito lo avrebbe invece onorato. E va detto che quei 45 euro sono di fatto la punta dell’iceberg per l’accusa.

A denunciare il primogenito di Umberto Bossi per il presunto “vizietto” di fare acquisti senza saldarli mai, ci sono altri due commercianti varesini, parti lese nel procedimento come il benzinaio. Nello specifico il titolare di un’autofficina di Varese che ha fornito gomme e accessori destinati all’Audi di Bossi jr per un valore di 3mila euro, senza mai vedere un centesimo. E un professionista varesino che ha realizzato l’impianto di illuminazione a casa di Riccardo Bossi per un ammontare di 7mila euro, finendo anche lui per arrendersi all’insolvenza. Il professionista, tra l’altro, ha precisato in denuncia di aver presentato un preventivo a Bossi jr e di esserselo visto approvare. Salvo poi non venire pagato. In altri casi l’imputato avrebbe mostrato un assegno della Camera dei deputati al commerciante di turno quale garanzia della propria solvenza oppure avrebbe speso il nome del padre (assolutamente estraneo alla vicenda) con un bel «poi passa il senatore a pagare» prima di sparire lasciandosi i debiti alle spalle.

Bossi non è mai comparso in aula. Il difensore Andrea Boni, che contesta l’accusa di truffa - «non usò mai artificio o raggiro per ottenere la merce in questione» - chiamerà Bossi a deporre qualora «il mio assistito vorrà farlo». L’udienza è stata aggiornata al 10 novembre. Non è la prima volta in cui il primogenito del fondatore della Lega finisce nei guai per conti non pagati: in passato era stato denunciato dal titolare di una catena di oreficerie di Busto Arsizio perché avrebbe acquistato gioielli firmati Bulgari e un Rolex senza pagare. Per quel fatto è stato condannato a dieci mesi in primo grado lo scorso novembre.