Los Roques, 21 giugno 2013 - La foto ingrandita non può fare trattenere le lacrime ai familiari delle 14 vittime del bimotore Let 410 ritrovato a 974 metri di profondità davanti all’isola di Los Roques una settimana fa. Cinque anni dopo, le fotografie scattate dalle microtelecamere del robot che ha trovato finalmente l’aereo nel mar dei Caraibi, restituiscono le immagini di un ammaraggio perfetto trasformatosi in tragedia qualche minuto dopo le 9,34 del 4 gennaio 2008.


Le immagini mostrano la fusoliera che ha schiacciato la cabina dei viaggiatori, risparmiando quella di pilotaggio. Ben difficile che questa rottura sia avvenuta prima: secondo indiscrezioni potrebbe essere stato il peso dell’acqua (centinaia di tonnellate) a spezzarla. Dentro quel piccolo bimotore deve essere successo qualcosa di terribile, durato ben più di alcuni secondi. All’annuncio del comandante alla torre di Los Roques («sono a 16 miglia e 3000 piedi di altezza, con due motori spenti, tento l’ammaraggio»), è stata seguita la procedura: il copilota ha fatto indossare i giubbetti di salvataggio e l’ha indossato anche lui (è stato trovato vicino al suo corpo.

All’interno del bimotore, i 12 passeggeri (otto italiani, tre venezuelani e uno svizzero) hanno volato a motori spenti per 10 miglia (dove l’aereo è stato trovato). Avrebbero anche avuto il tempo di uscire (l’aereo intatto come si vede può galleggiare qualche minuto) se ci fossero state le uscite di emergenza (non c’erano) e non fosse successo qualcosa di cui si può solo supporre secondo l’esito dell’autopsia dell’unico corpo ritrovato e della relazione della Procura del 2008. Il copilota (seduto a destra dell’aeronave) ha aperto la porta uscendo per primo. Può averlo fatto solo quando l’aereo era vicinissimo al contatto con l’acqua, essendo la porta antivento.

L’autopsia ha attribuito la sua morte a un colpo al petto così forte da avergli lacerato il cuore e provocato altre fratture (il polso, la mandibola e i denti), compatibili secondo il medico patologo con un violento impatto: o contro la porta (che si è richiusa) o contro la cloche. Se però fosse morto all’interno, non avrebbe potuto aprire la porta e il suo corpo dilaniato finire su una spiaggia distante 400 chilometri. La possibilità (benché limitata) di salvezza degli altri occupanti (solo lo svizzero era esperto sub e i soccorsi hanno tardato) era legata prima di tutto all’uscita immediata dal Transaven. Ma da dove, se le uniche due porte del Transaven li hanno intrappolati dentro?

bruna.bianchi@ilgiorno.net