Varese, 20 aprile 2011 - Danni da 300mila euro per il titolare di un bar di Varese, costretto a chiudere la sua attività nel 2002 in seguito a continue estorsioni di denaro. È la richiesta di risarcimento formulata da alcune parti civili nell’udienza di ieri del processo ai presunti componenti della locale di Legnano–Lonate Pozzolo della ’ndrangheta, arrestati dai carabinieri nell’operazione «Bad boys» con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso.

Nel maxiprocesso, celebrato con rito abbreviato nel tribunale di Busto Arsizio, sono imputati 17 uomini che, secondo le accuse, sarebbero stati protagonisti di estorsioni, rapine e violenze a cavallo fra la provincia di Varese e quella di Milano. Il denaro raccolto grazie al racket e a traffici illeciti sarebbe stato poi reinvestito in attività imprenditoriali, come bar, ristoranti e cantieri edili.

Il pm della Direzione distrettuale antimafia di Milano Giovanni Narbone ha formulato inoltre davanti al collegio presieduto dal giudice Toni Adet Novik la richiesta di condanna a sei anni di reclusione nei confronti di Nicola Ciancio, Francesco Filippelli e Antonio Esposito e a quattro anni per Giorgio Laface, tutti accusati di estorsione. Si tratta di presunti esattori della locale, che si sarebbero occupati di riscuotere somme dai titolari di bar e ristoranti. Il modus operandi, secondo l’accusa, era sempre lo stesso.

Dalla frequentazione dei locali, con la pretesa di non pagare le consumazioni, si sarebbe arrivati a richieste esplicite di denaro che in alcuni casi raggiungevano i 1.500 euro al mese, con l’obiettivo di arrivare a controllare direttamente l’attività proponendosi come soci. Sono quattro gli imprenditori costituiti parte civile. Fra di loro ci sono il direttore e il titolare del bar di Varese che ha permesso alle forze dell’ordine di nascondere microfoni nei suoi abiti per registrare i contatti con gli indagati e le continue richieste di denaro.

Alcuni uomini, secondo il suo racconto, si sarebbero presentati nel bar poche settimane dopo l’apertura, consumando senza pagare e arrivando a prelevare l’incasso della serata. Fino a quando l’imprenditore non è stato costretto a svendere l’attività per 25mila euro, dopo aver sporto denuncia alle forze dell’ordine, rimanendo con i mutui da saldare alle banche. «Il mio assistito ha partecipato fattivamente alle indagini – spiega il suo legale, Maria Cristina Marrapodi – e avrebbe diritto al rimborso del denaro investito per aprire il locale».

Nel corso dell’udienza di ieri è stato sentito come testimone un commerciante originario della Campania, contro il quale secondo le intercettazioni alcuni dei presunti esponenti della locale avrebbero organizzato una spedizione punitiva per costringerlo a pagare. L’uomo però ha negato di essere stato vittima di estorsioni. Udienza aggiornata al 3 maggio.