Copcquio Trevisago, 12 aprile 2011 - Incrollabile nella difesa del marito. Innamorata di un uomo etichettato da accusa e opinione pubblica come l’autore del delitto delle mani mozzate ma che, per lei, è solo compagno di vita e padre dei suoi due figli piccoli. Thali Zineb, detta Zizì, la 38enne seconda moglie marocchina di Giuseppe Piccolomo, a giudizio con l’accusa di aver ucciso e mutilato Carla Molinari, ha deposto al processo contro il marito. Chiamata a testimoniare dall’avvocato difensore Simona Bettiati, ha incrociato lo sguardo dell’amato, mandandogli due baci durante una pausa della sua dichiarazione e prima di abbandonare l’aula. Ha anche visto le figlie di primo letto dell’imputato, Tina e Cinzia, che durante la deposizione hanno manifestato disapprovazione, scuotendo la testa a più riprese.

 

Arrivata in mattinata con una conoscente, Zizì, in Italia da giovedì scorso, ha parlato nel pomeriggio, ottenendo dalla Corte d’Assise guidata dal presidente della sezione penale Ottavio D’Agostino un’inversione nell’ordine dei testi. Richiesta avanzata per motivi logistici. Zizì, infatti, di recente ha trovato lavoro a Rabat come segretaria in un’azienda e deve rientrare in Marocco il 21 aprile. Prima di rispondere alle domande dell’avvocato e del pm Luca Petrucci si è trattenuta con i giornalisti. «Ho sempre la speranza che mio marito possa uscire dal carcere - ha detto - Sono stato a trovarlo e l’ho visto molto provato». Con lei ha portato il figlio più piccolo, due anni. L’altro è rimasto in Africa, dove frequenta l’asilo. «Gliel’ho fatto vedere - ricorda - Non lo incontrava da quando io sono tornata in Marocco (tre mesi prima dell’arresto di Pippo, ndr). Si è molto commosso. Poi ha chiesto dell’altro bambino». Del marito a Zizì è rimasta negli occhi «la paura di rimanere in carcere a vita» anche se, continua la donna, «è convinto di poter uscire perché si sente innocente».

 

Davanti alla Corte d’Assise ha ripercorso la sua vita in Italia e il periodo passato a fianco di Piccolomo. Arrivata nel 2000, dopo qualche mese in un bar, ha trovato occupazione nel ristorante «Al parco da Marisa», gestito dall’imputato insieme alla prima consorte. «Abitavo con loro - ha ricordato Zizì - La figlia Tina lavorava nel locale e spesso lasciava il suo bambino al nonno perché lo accudisse». Litigi fra Tina e il padre, ha detto la donna, erano da mettere in conto. «Tina se la prendeva con il padre per motivi futili - ha affermato Zizì - Lui alzava la voce con le figlie quando si sentiva offeso, ma non le ha mai picchiate. E nemmeno io sono stata mai colpita. Non l’avrei sposato se lo avessi conosciuto come un violento». Per lei non lo è. E neppure è il killer delle mani mozzate («Carla Molinari nemmeno la conosceva»). È l’uomo con il quale spera di svegliarsi da un brutto sogno.