UNOLPA VERA ALBA LEGHISTA

Varese, 14 febbraio 2011 - Culla della Lega non è un modo di dire. Varese questo ruolo lo ha davvero, e soltanto chi non ricorda o non può ricordare i veri albori del movimento pensa a una definizione generica, associabile anche ad altre realtà. Se in questi giorni si parla del primo ventennio della Lega Nord, a Varese si dovrebbe parlare di trentennio almeno dell’era bossiana. E parlare dell’Unolpa, anzitutto. Era la primavera del 1980 quando un movimento con il simbolo della Lucia, la barca emblema del lago di Como, colori vivaci, giallo e azzurro, debuttava tenuto a battesimo da Bossi e Maroni nella stanzetta di un palazzo di Varese, in via Sant’Imerio. C’era anche Bruno Salvadori, leader dell’Union Valdotaine, quel mattino, alla storica conferenza stampa. E solo due cronisti, chi scrive, del Giorno, e Gianni Spartà, della Prealpina.

"Unione nord ovest Lombardia per l’autonomia" fu chiamato quel primo movimento, obiettivo l’autonomia appunto delle province di Varese e di Como, meglio dei laghi prealpini - come appariva scritto nel tondo del simbolo - sul modello e con gli ideali che avevano dato vita al movimento valdostano. L’origine dell’Unolpa in realtà rimonta al 1979, ne parlò per la prima volta in primavera un giovanissimo Bobo Maroni da Lozza fresco di laurea in Giurisprudenza.

Un anno prima, nel 1978, sempre in autunno, un giovanissimo Bossi era in Val d’Ossola insieme ai pionieri fondatori dell’Uopa, Unione ossolana per l’autonomia, davvero un proto-movimento con questi ideali, assolutamente inediti per il territorio, e destinati a non ottenere grande seguito alle prime prove di consenso. La morte di Bruno Salvadori per un incidente stradale assestò un brutto colpo all’embrione nascente della Lega. L’inizio degli anni Ottanta non fu facile. Erano i tempi in cui Bossi, con la grande caparbia di un politico nuovo, cercava di fiutare l’aria indicando i primi principi dell’autonomismo destinato poi a diventare federalismo. E quando a Varese nel 1984 nasce ufficialmente la Lega Lombarda l’embrione è già diventato adulto, l’organizzazione politica neonata cresce florida nella sua culla.

Tre anni dopo, nel 1987, Bossi diventa senatore, anzi, da allora, senatùr, e Leoni deputato. Ma questo ormai è storia recente. Quelle che tutti raccontano, oggi, a partire dal 1991. Non dunque un ventennio, dunque, ma almeno un trentennio per un partito-movimento destinato a rivoluzionare il concetto stesso di politica. E Varese lì, ad assistere a un evento certamente di portata storica, vissuto con intensità cresente, proporzionato ovviamente al peso che il leghismo prendeva di elezione in elezione, fino ad arrivare dai primi anni Novanta a rappresentare le massime cariche negli enti locali sulla base di un’intesa vissuta nell’ambito del centrodestra, quel patto Bossi-Berlusconi che rappresenta ancor oggi uno dei cardini della politica nazionale. Ci fu un’eccezione, però.

Era il gennaio 1993 quando Raimondo Fassa, il professorino-filosofo di Gallarate, veniva eletto sindaco di Varese. Primo sindaco della Lega allora già Lega Nord in un comune capoluogo di provincia. Non fu un’alleanza di centrodestra, quella che portò Fassa alla guida di Palazzo Estense. Tutt’altro.

La Lega, che alle elezioni comunali aveva ottenuto 17 consiglieri su 40 (si votava ancora col vecchio sistema proporzionale) aveva bisogno di 4 voti per formare la maggioranza e sostenere la Giunta guidata da un proprio sindaco. Tre di questi quattro voti arrivarono dall’allora Pds di Daniele Marantelli, oggi deputato del Pd, da sempre considerato il "leghista rosso" per i buoni rapporti con Bossi e Maroni e l’abilità nel tessere il dialogo con la Lega sul territorio padano. Il quarto e determinante consenso fu quello dell’avvocato Piergianni Biancheri, indipendente nel Pri. L’intesa Lega-Pds venne benedetta da Bossi in persona, con una telefonata che Maroni ricevette nel primo pomeriggio in un bar tavola calda di via San Martino, nel centro di Varese, dove stava consumando un piatto di pasta al sugo. Da allora quello storico accordo, mai più ripetuto a livello locale e tantomeno a livello nazionale, prese il nome di "patto delle pennette".