San Donato, 19 luglio 2013 - Servizi sociali colpevoli. La corte d’appello ribalta l’assoluzione in primo grado per un’assistente sociale che era in servizio nel centro socio-sanitario di San Donato quando il 25 febbraio 2009 il piccolo Federico Shady, 9 anni, venne ucciso con un colpo di pistola e numerose coltellate dal padre, Mohammed Barakat. In quanto responsabile del servizio, era accusata di concorso colposo nell’omicidio del piccolo perché, secondo l’accusa, non avrebbe preso le «opportune cautele nella gestione del rapporto padre-minore».

L’uomo, egiziano di 53 anni, si era presentato negli uffici dei Servizi sociali per uno dei consueti colloqui con il figlio, gli aveva sparato a bruciapelo e poi aveva sferrato diverse coltellate fino a ucciderlo per poi togliersi la vita tagliandosi le vene e colpendosi al ventre con un coltello. Il bambino, che viveva con la madre Antonella Penati, era affidato ai servizi sociali perché i genitori si stavano separando ed erano in rapporti conflittuali. La corte d’appello ha invece confermato altre due assoluzioni decise in pimo grado nei confronti di una seconda assistente sociale e di un educatore che erano presenti il giorno della tragedia.

Il primo giudice, Vincenzo Tutinelli, scrisse nelle motivazioni che gli imputati non potevano «prevedere l’omicidio» del piccolo Federico «sulla base di elementi oggettivi» anche se in questa vicenda «vi è stato un fallimento per quanto riguarda l’intervento dei servizi sociali» e «non è possibile negare una tale evidenza». Però il vero «problema» - sosteneva - era «la possibilità o no di prevedere l’omicidio sulla base di elementi oggettivi e non solo di sensazioni». E in quel caso, secondo il gup, non si poteva. Ai servizi sociali, infatti, il tribunale per i minorenni non aveva attribuito «funzioni» di protezione «della incolumità del bambino».

In appello la difesa dell’assistente sociale ha invocato l’assoluzione, mentre la Procura ha chiesto condanne a tre anni per tutti e tre gli imputati In attesa di leggere le conclusioni opposte cui dev’essere arrivata la corte d’appello, l’avvocato della madre del piccolo, Federico Sinicato, è soddisfatto: «Finalmente - dice - dopo tanti anni è stata riconosciuta la responsabilità dell’ente che aveva in affido il bambino».