Milano, 16 marzo 2013 - «Pensare che è la prima volta che vengo in America». E certo non se la dimenticherà mai più. Giuseppe Cavenaghi, 48enne architetto di Opera, è uno dei tanti italiani che volevano provare il gusto di una maratona oltreoceano, di una classica leggendaria, e si sono trovati nel mezzo di una tragedia. Inimmaginabile pochi giorni fa, all’imbarco per gli States.

Tutto è successo pooco prima delle 15, lui aveva appena finito la sua performance. «Mi ero anche già cambiato - racconta, ancora incredulo, non del tutto conscio di quanto gli sta succedendo attorno -. Dovevo trovarmi a fine corsa con un mio amico, quando sento un botto, fortissimo. Lì per lì, davvero, ho pensato a un petardo. Poi, siccome ero stanco, ho deciso di non aspettare e sono andato a piedi verso l’albergo». Mezzo chilometro, più o meno, separa il suo hotel, il Common Revere, da Boylston street dove si è consumata la tragedia.

Lui va a piedi: «E ho visto arrivare le ambulanze, ma non è raro che qualcuno stia male durante la gara, capita a chi è meno allenato - spiega -. Io sono andato dritto. Arrivato in albergo ho scoperto quello che era successo». Il sangue, l’orrore, li ha visti dal piccolo schermo, eppure è stato solo per un caso, un intervento del destino, se è sfuggito all’esplosione: «Avevamo l’appuntamento davanti al negozietto che distribuisce i gadget della manifestazione. È lì che è successo tutto. Potevo esserci anch’io...». In hotel, il gruppo si ricompatta.

Con Giuseppe ci sono Stefano Diliberto e Luca Cairati, tutti e tre fanno parte dei Maratoneti Gaggiano, a Boston erano con i 40 atleti seguiti dall’organizzazione Born2Run. Il tempo di accertarsi di stare tutti bene, poi incollati alla Tv. Fuori, il finimondo. «Non si può uscire, dalla televisione dicono di stare nelle case».

Sbigottiti, Giuseppe e i suoi compagni d’avventura aspettano indicazioni: «Ci hanno detto di presentarci nella hall alle 18 (mezzanotte in Italia, ndr): ci riuniscono tutti, ci sarà un briefing, ci daranno delle istruzioni». Tutto resta confuso, indecifrabile. La prima volta di Giuseppe non finisce qui. «Domani (questa mattina, ndr) devo partire per New York». Non sarà facile muoversi, adesso, in America. «Dicono che l’aeroporto ha riaperto, ho ancora cinque giorni da passare negli Stati Uniti». Ma il tempo, a Boston, si è già fermato.

Simone Stimolo