Milano, 7 marzo 2012 - Un omicidio per ripulire l'onore di una famiglia "di rispetto". Ecco cos'è stato il delitto Verrascina. "Sai com'è fatta mia mamma...", così Carlo Caiazzo si rivolgeva al telefono a un altro indagato per spiegare l'agguato in programma e avvenuto il 10 gennaio scorso. "Figlio mio tu sei stato minato nell'onore. Si rispetta il cane per rispettare il padrone: vedicati", così disse Cristina Del Prete, già indagata per associazione di stampo camorristico, al figlio, titolare di una carrozzeria a Cerro al Lambro e ritenuto il referente lombardo del clan Gionta di Torre Annunziata (Napoli).

Caiazzo doveva rispondere al pestaggio di Giuseppe Pellittericognato rapito davanti ai figli e alla moglie l'8 gennaio scorso e massacrato di botte in aperta campagna a Caselle Lurani (Lodi) proprio da Luca Saverio Verrascina insieme al suo amico Jean Jannaccio (anche lui arrestato oggi per sequestro di persona e lesioni personali gravissime). Pellitteri doveva ripianare un debito di 4mila euro per il "fumo" non pagato. L'operaio 39enne Jannaccio, chiamato proprio per dare una lezione alla vittima, c'era andato pesante e Pellettieri aveva dovuto ricorrere ad un intervento chirurgico per stabilizzare il bulbo oculare sinistro.

Davvero troppo da sopportare per una famiglia di rispetto da tempo residente a San Giuliano Milanese "in affari" con i calabresi non solo nelle province di Milano ma anche in quelle di Como e Varese, come emerso anche in un'indagine appena chiusa dalle Squadra Mobile lariana. Così, sempre secondo i carabinieri, il 10 gennaio scorso Caiazzo, Esperto e Lamanuzzi a bordo di due auto accompagnarono Pellettieri sotto casa di Verrascina. Il giovane, 24 anni, esplose contro il muratore sei colpi calibro 22 colpendolo frontalmente a una gamba. Un'altro lo raggiunse alla schiena mentre scappava, causandogli un'emorragia polmonare che lo uccise.

Il giorno seguente, il 24enne dopo qualche ora in caserma aveva confessato l'omicidio davanti ai magistrati sostenendo però di aver agito da solo, ma senza convincere i carabinieri. Così sono scattate le indagini che portarono a intercettazioni della Mobile lariana nell'ambito delle investigazioni sugli affari del clan comorristico sul loro territorio, in cui si parlava della "lezione" inflitta a Verrascina. Sul caso ha poi investigato anche il Nucleo operativo dell'Arma di San Donato, che ha portato prove sufficienti per richiedere l'emissione dei provvedimenti di custodia eseguiti oggi.

I carabinieri hanno trovato in un box in zona Comasina a Milano nella disponibilità di Esperto (residente a Pantigliate), due pistole semiatomatiche con matricola abrasa, un fucile mitragliatore tipo Kalashnikov, una Fiat 500 rubata, passamontagna, guanti, un casco, taglierini, oltre a un bilancino e l'occorrente per il confezionamento degli stupefacenti. In manette è finita oggi anche una sesta persona, il 38enne incensurato di origine gelese Salvatore Pirone, dopo che nella sua abitazione di Tavazzano con Villavesco (Lodi) i carabinieri hanno trovato un revolver con matricola abrasa. Pirone è stato individuato dai carabinieri perché il giorno dell'omicidio era stato più volte contattato telefonicamente dal gruppo di fuoco.

Nessuna delle armi sequestrate è però quella usata da Pellettieri, che sostenne di averla per caso trovata sotto un sasso e di essersene disfatto gettandola in un laghetto artificiale dopo l'omicidio. Il lago è stato però dragato in lungo e in largo dai sommozzatori ma senza esito.